10 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Angelo Panebianco

Il Movimento pesa tanto ma ormai ha pochi voti. I leghisti hanno sbagliato ad attaccare i governanti uscenti sulla sanità, una delle meglio amministrate del Paese


La schiacciante vittoria del presidente uscente Stefano Bonaccini e del Pd in Emilia- Romagna suggerisce due osservazioni. La prima: in democrazia puoi perdere le elezioni anche se conduci una buona campagna elettorale ma, di sicuro, subisci perdite pesanti se, nel corso di quella campagna, sbagli troppe mosse. La seconda: le elezioni regionali indicano l’esistenza di un grave problema di rappresentanza nazionale.
Il partito che ha conquistato la maggioranza relativa dei seggi nelle ultime elezioni nazionali e che tuttora la detiene si sta rivelando un partito-meteora, con sostegni sempre più ridotti nel Paese. Non è esattamente quanto serva alla democrazia rappresentativa, non è una condizione che possa assicurare solidi e diffusi consensi all’operato del governo in carica e della sua maggioranza parlamentare di sostegno.
Procediamo con ordine. Lo sconfitto, Matteo Salvini, ha ragione quando dice che questa è la prima elezione, nella storia dell’Emilia-Romagna, in cui ci sia stata una vera competizione. Per la prima volta, il partito dominante da sempre è stato sfidato con qualche chance di successo. Ma Salvini tace su un fatto: nel corso della campagna c’è stata verosimilmente una contrazione del sostegno potenziale alla candidata leghista e questo si deve, oltre che all’inevitabile contro-mobilitazione dell’elettorato di centrosinistra, anche agli errori leghisti. Alcuni mesi fa i sondaggi davano il candidato di centrosinistra in leggero vantaggio sulla leghista. Chiunque conosca l’Emilia-Romagna sa che in una regione così la Lega è inevitabilmente sottorappresentata nei sondaggi. In altri termini, prima dell’inizio della campagna la Lega aveva buone chance di vincere.
Cosa è accaduto? È accaduto che venendo a nazionalizzare una campagna regionale Salvini non ha capito che ciò avrebbe spinto dall’altra parte gli elettori incerti, ossia quelli che decidono davvero delle vittorie e delle sconfitte. Succede sempre così: arriva un leader «da fuori», stringe migliaia di mani, si convince che sta vincendo.
Peccato che le mani che stringe siano quelle di elettori già in partenza convinti di votare per il suo partito. Invece, non riesce nemmeno a «scorgere», a vedere da lontano gli elettori incerti, non si rende conto di quale siano gli effetti dei suoi messaggi su di loro. È stato un errore madornale, ad esempio, da parte dei leghisti attaccare i governanti regionali uscenti sulla sanità (una delle meglio amministrate del Paese). Hanno solo ottenuto l’effetto di spaventare tutti quegli elettori che, sapendo come stanno davvero le cose, non vogliono cambiamenti nel settore. Avrebbero invece dovuto dire: noi non muteremo una virgola di tutto ciò che funziona bene (come appunto la sanità). Vogliamo invece creare altrove discontinuità. In particolare vogliamo colpire quelle incrostazioni di potere che si formano inevitabilmente laddove un gruppo politico governa senza ricambio da tanti decenni. Avrebbero dovuto fare, insomma, una campagna rassicurante. Hanno spaventato gli elettori incerti. Zingaretti (con un riflesso politicista a mio parere) si è affrettato a ringraziare le cosiddette sardine. Al suo posto avrei invece ringraziato gli elettori inizialmente incerti (quelli che, ancora poche settimane fa, non sapevano per chi votare né se avrebbero votato). Quale sia stato il reale contributo delle sardine è ancora da dimostrare. Resta però che effettivamente l’Emilia-Romagna è diventata contendibile e il Pd farebbe un errore se pensasse che nulla è cambiato, che tutto è come prima.
Vengo al secondo punto. La crisi di rappresentanza. Va detto che la tesi di leghisti e Fratelli d’Italia (Forza Italia è più prudente) secondo cui bisogna dare «la voce al popolo» perché i sondaggi la danno vincente, è solo una «normale» tesi di comodo dell’opposizione. Si finge che le intenzioni di voto espresse nei sondaggi e i voti veri siano la stessa cosa. Non è così. Spesso il sondaggio dice una cosa e le elezioni una cosa diversa. Non perché i sondaggi non siano fatti bene ma perché le persone, con frequenza, cambiano idea.
La crisi di rappresentanza consiste in altro. Consiste nel fatto che al momento c’è un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare nella quale il primo partito (non alla luce di sondaggi ma di elezioni vere, europee e regionali) si sta elettoralmente liquefacendo. Eppure le politiche di quel governo continuano, e continueranno per tutta la legislatura, ad essere decise soprattutto dai Cinque Stelle. L’idea che circola secondo cui il Pd si sarebbe rafforzato anche a Roma in virtù dei risultati regionali (in Calabria ha perso la presidenza ma è comunque il primo partito) è valida solo fino a un certo punto. L’azione di governo, di qualunque governo, è (ovviamente: ma pare che per molti non sia così ovvio) condizionata soprattutto dal socio di maggioranza. Nel nostro caso, ora come prima, i Cinque Stelle. Nel frattempo però la loro politica è stata sconfessata. Ad esempio, il risultato calabrese dice tutto ciò che c’è da dire sul giudizio degli italiani sul reddito di cittadinanza. Ma prendiamo anche il caso della legge sulla prescrizione. Probabilmente, la schiacciante maggioranza dei parlamentari democratici non condivide la legge voluta dal guardasigilli e dal suo partito, la ritiene pessima. Ma ciò nonostante i rapporti di forza continuano a pendere, e continueranno a pendere, a favore dei grillini.
Una forbice così forte fra gli orientamenti di un Paese che ha voltato le spalle ai Cinque Stelle e un governo che ne è espressione potrebbe alla lunga logorare anche il Pd. È uscito bene dalle regionali, certamente, ma è pur sempre coinvolto in un governo con un partner di maggioranza che non incontra più i favori degli elettori. Naturalmente, il rospo potrebbe diventare un principe, i Cinque Stelle potrebbero dichiarare la resa incondizionata, trasformarsi, nonostante la maggioranza numerica, in una «costola di sinistra» del Pd, prona ai suoi voleri. In politica qualunque metamorfosi, anche la più bizzarra, è possibile. Ma non significa che sia anche probabile.

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