20 Settembre 2024

Da anni si ripete la litania del conto dei danni e delle accuse reciproche. Ma non si affrontano i problemi alla radice

Ma se lo meritano, gli emiliani e i romagnoli investiti da una seconda alluvione in poco più di un anno, negli stessi identici posti, un diluvio supplementare di accuse reciproche sulle responsabilità di quanto sta accadendo? Manco il tempo di accendere le pompe idrovore per salvare quel che si può nelle città e contrade invase dalle acque ed è partito lo scaricabarile. Di qua la destra di governo contro le amministrazioni locali di sinistra ree, secondo il ministro per la protezione civile Nello Musumeci, d’aver sprecato «in questo decennio 595 milioni avuti dai governi di Roma per i territori più vulnerabili». Di là l’ex governatore Stefano Bonaccini («Ma se da un anno e mezzo è tutto in mano al commissario scelto da loro!») e la neo-presidente regionale Irene Priolo, furente contro lo «sciacallaggio» di chi strilla in momenti così dopo aver «lasciato soli i comuni sotto organico» ad affrontare tutti i nodi delle emergenze ambientali. Per non dire dei tafferugli sui ritardi negli indennizzi che Giorgia Meloni aveva promesso celeri e «al 100%» e che si sono rivelati invece farraginosi e tirchi al punto che per certi danni chi aveva chiesto 30 mila euro ne avrebbe in un caso ricevuti 13,83. Polemiche destinate a incendiare ancor più la campagna elettorale. E che rischiano di aggiunger confusione sul tema di fondo: ancora una volta l’Italia, quale che sia il governo, appare impreparata e colta di sorpresa davanti a catastrofi naturali destinate col cambiamento climatico ad aggravarsi.
Sono passati dieci anni da quel 2014 in cui l’allora ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti spiegò in Parlamento che occorrevano almeno 14 miliardi di euro per «la prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e l’adattamento al cambiamento climatico».Eppure solo pochi mesi fa, dopo sei governi e quattro anni spesi solo per la Valutazione ambientale strategica, il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha potuto annunciare il varo del «Pnacc», l’agognato Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico fornito di 361 disposizioni per contenere i disastri ambientali ma, ahinoi, del tutto squattrinato: «Purtroppo, per questo obiettivo essenziale, non è stato stanziato un euro. Zero», spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. «Non è che non ci sia un solo euro sul contrasto al cambiamento climatico», precisa l’ex ministro Enrico Giovannini, «Ma tutto è disorganico, approssimato, senza il filo conduttore». Peggio: mai come in questo caso ogni ritardo pesa di più sui ritardi successivi, finendo per moltiplicare a dismisura i costi di interventi indispensabili. Su tutti la «dislocazione», cioè il trasferimento altrove, di stabilimenti, edifici pubblici, scuole, case private e così via dichiarati da tempo ad alto o altissimo rischio idrogeologico.
Eppure molto si potrebbe fare. L’ha dimostrato nella scorsa primavera il Veneto, colpito a Vicenza da un diluvio (400 millimetri d’acqua in poche ore) non così diverso da quello che aveva devastato la città nel 2010. Stavolta però senza danni grazie ai lavori su 23 bacini di laminazione in grado di contenere la piena. Un successo che spinse Luca Zaia a dire a Marco Cremonesi: «È ora di far partire il Piano Marshall contro le alluvioni. Meglio spendere un miliardo per la prevenzione piuttosto che due, o chissà quanti, per riparare i danni dopo». Parole sante. Ma difficili da reggere alle gomitate di una lotta politica troppo condizionata dagli interessi elettorali della settimana. Un grosso guaio per un paese come il nostro esposto ai capricci di 7.496 corsi d’acqua praticamente tutti, Po compreso (basti ricordare l’apocalisse del 1951), a carattere a volte torrentizio.
Un dato dice tutto: perfino Milano che si picca di essere la capitale economica, finanziaria e culturale, come spiega il saggio in uscita per Polistampa La nuova civiltà dell’acqua di Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi, ha contribuito in modo pesante all’errore di tombare sotto il cemento, in tutta Italia, circa 20.000 chilometri d’acqua: «Sotto il manto stradale milanese c’è un groviglio idrico unico al mondo. Un tesoro d’acqua che non ha paragoni e che la fa come galleggiare sul mar delle acque dolci avendo nelle sue viscere la bellezza di 370 chilometri di corsi d’acqua naturali e canali artificiali, con 170 chilometri di corsi d’acqua minori». Tra i quali il Seveso che dal 1976 al 2023 è esondato 120 volte. Più l’ultima, due settimane fa.
La stessa Giorgia Meloni, del resto, dopo l’alluvione in Romagna del maggio 2023, spiegò di esserne consapevole: «Mettere in sicurezza l’Italia è una sfida epocale. Stiamo purtroppo scontando decenni di scelte mancate e di ritardi e l’idea, errata, che la cura del territorio non fosse un investimento strategico. Bisogna cambiare paradigma». Parole d’oro. Alle prese con la realtà quotidiana dei conti, la stessa presidente del consiglio decisa a «fare la storia» sembra tuttavia avviata nel percorso impantanato seguito, di rinvio in rinvio, dai suoi predecessori meno virtuosi. Attaccati sempre, per scaramanzia, al cornetto portafortuna di corallo…

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