Prendersela con la Lega facendo salva la Costituzione suona almeno malizioso, e sembra spuntare un’altra secessione non meno rischiosa
E se per scansare la cosiddetta secessione delle Regioni ricche finissimo per ritrovarci faccia a faccia con un’altra secessione non meno rischiosa della prima? Insomma, allarma il progetto per l’autonomia potenziata voluta da Salvini, Zaia e Calderoli, ma si fa poco caso a ciò che dell’Italia politico-istituzionale si sta già separando, se non dalla realtà, dal senso comune. Il titolo V, le Regioni, i governatori: sono già altra cosa rispetto a qualche tempo fa. La critica all’autonomia, ad esempio, è per molti versi una critica legittima ai tempi e ai modi scelti per attuare la riforma. Ma l’autonomia è prevista dalla Costituzione, al Titolo V, appunto, e prendersela con la Lega facendo salva la Costituzione suona almeno malizioso. Si arriva, di conseguenza, a parlare di disposizioni vincolanti sì, ma fino a un certo punto.
La Costituzione? Dipende, si dice. Ma se dipende oggi per me, può dipendere anche domani per te, in un crescendo di relativismo interpretativo per nulla rassicurante. Ad un certo punto, poi, sotto il fuoco polemico sono finiti i presidenti regionali. Anzi, soprattutto loro, senza distinzioni, come se fossero tutti dei piccoli Cesari, spesso confondendo la funzione con la persona, e facendo dell’eccezione la regola, vedi De Luca che ormai fa anche il sindacalista e infatti litiga con la Cgil. Infine, è venuto il turno delle stesse Regioni: non per come potrebbero ricollocarsi nella gerarchia dello Stato una volta «armate» di nuove competenze, ma in assoluto, per il solo fatto di esistere, sebbene anche queste previste dai costituenti per evitare un centralismo totalizzante e un municipalismo nebulizzato, modello Ischia, sei Comuni per una sola isola. E così, dopo un colpo alla Costituzione, un altro alla rappresentanza dei territori e un altro ancora al pluralismo delle autonomie, che un tempo era un valore e ora è invece diventato un ingombro, ecco il paradosso: si urla al lupo che verrà, non al cinghiale che è già sotto casa.