Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
La manovra di alleati e nemici di Draghi per mettere l’ex premier Conte alla guida del Movimento 5 Stelle
Il coro grillino a favore di una leadership di Giuseppe Conte gronda nostalgia e un pizzico di disperazione. Suona come il tentativo estremo di fermare una spinta centrifuga che ormai si è messa in moto; e che nessuno, forse neanche l’ex premier, appare in grado di fermare. Gli appelli del Movimento Cinque Stelle a conferirgli una carica «ad hoc» sono trasversali. Arrivano sia da chi ha ricevuto da Mario Draghi un ruolo di governo; sia da chi ha dovuto rinunciare a un ministero o a un sottosegretariato: proprio come Conte con Palazzo Chigi. Per questo il suo recupero come possibile deus ex machina di una formazione agonizzante si presenta con una buona dose di ambiguità. Potrebbe ridare ossigeno a un Pd che sullo schema dell’alleanza coi Cinque Stelle sta cercando di costruire le candidature a sindaco nelle grandi città. Anche se il governo Draghi mette seriamente in tensione questo schema, e costringe il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, a un appello all’unità che sa di presagio di resa dei conti interna.
Ma il problema è anche il rapporto col nuovo esecutivo. Nei giorni in cui si andava formando, i vertici del M5S fotografavano un Conte poco disposto a cedere il posto di premier; e aizzato dai sostenitori a boicottare la tregua istituzionale che si stava delineando, senza analizzare errori e limiti. Alla fine, si è mostrato più responsabile dei suoi tifosi. E, nonostante un’uscita teatrale da Palazzo Chigi, ha appoggiato Draghi. Rimane, tuttavia, la domanda sull’atteggiamento parlamentare che assumerebbero i Cinque Stelle con lui come leader. Un eventuale impegno di Conte nel Movimento lo confermerebbe come una figura che dall’estate del 2018 allo scorso gennaio ha incarnato il grillismo di governo, senza tuttavia riuscire mai a amalgamare le alleanze che guidava: tanto che a gennaio ha dovuto gettare la spugna, abbandonato da Iv. Il tentativo, insieme spregiudicato e maldestro, di arruolare senatori per sopravvivere con una qualsiasi maggioranza si è rivelato la conferma di una perdita di lucidità politica in una fase totalmente nuova. E il Quirinale è stato costretto a una soluzione estrema come la scelta di Draghi. Ora, con un ruolo di raccordo tra le tribù grilline, Conte potrebbe diventare il simbolo dell’evoluzione moderata del M5S, secondo l’analisi del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Oppure, ed è il lato ambiguo dell’operazione, di un M5S ansioso solo di rivincita. D’altronde, per mesi i suoi fedelissimi hanno riservato a Draghi malignità e attacchi. Temevano, a ragione, che potesse diventare un jolly imbattibile di fronte al fallimento del secondo governo Conte. Ma non sembrano capire che sono stati loro a fare uscire e vincere quella carta.