20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Dopo avere teorizzato lo sfondamento del rapporto deficit-Pil al 2,4 per cento per tre anni, la sensazione è che l’esecutivo cerchi di non smentirsi ma voglia anche rassicurare


C’è tuttora molta confusione, che la soddisfazione d’ufficio non riesce a nascondere. In realtà, i toni duri usati da Movimento Cinque Stelle e Lega contro chi critica la loro manovra economica in incubazione riflettono una certa ambivalenza. Si indovina un misto di paura e di tracotanza per le reazioni che i mercati finanziari possono avere di fronte alle ipotesi di spese in deficit, presentate dal governo. E non aiutano le parole contro i «signori dello spread» del vicepremier e leader leghista, Matteo Salvini. L’altro contraente governativo, Luigi Di Maio, del M5S, non vuole sacrificare «i diritti dei lavoratori sull’altare dello spread, delle Borse, delle banche». In realtà, il timore che da oggi si possano registrare attacchi speculativi contro l’Italia è palpabile. E l’immagine del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che torna a Roma per occuparsi del documento economico-finanziario, lasciando a Bruxelles i tecnici del suo dicastero per la riunione dell’Ecofin, diventa emblematica: sebbene da Palazzo Chigi si neghi qualsiasi emergenza.

Tempismo sospetto
Dopo avere teorizzato lo sfondamento del rapporto deficit-Pil al 2,4 per cento per tre anni, la sensazione è che l’esecutivo cerchi di non smentirsi ma voglia anche rassicurare. Si studiano tagli alle spese, affidati a una squadra di tecnici «di area». E intanto Di Maio si rallegra perché lo spread, la differenza tra gli interessi dei titoli di Stato italiani e tedeschi, è salito «solo» sopra i 280 punti. E accusa «qualche istituzione europea» di «fare terrorismo sui mercati». Tesi singolare, contraddetta dal governatore leghista del Veneto, Luca Zaia. A suo avviso, se il reddito di cittadinanza voluto dai Cinque Stelle dovesse diventare «una cosa stabilizzata, sarebbe un problema. Noi non siamo per l’assistenzialismo». Parole simili a quelle dette in tempi precontrattuali dallo stesso Salvini. Tra l’altro, il fatto che i 780 euro del reddito sarebbero consegnati entro l’inizio di aprile, non può non far pensare che un mese dopo ci saranno le elezioni europee. Il tempismo appare come minimo sospetto. D’altronde, quando nel 2014 il governo del Pd presieduto da Matteo Renzi distribuì i famosi 80 euro mensili, fu ad aprile: anche allora, un mese prima delle Europee che premiarono, per la prima e l’ultima volta, il suo partito. I Cinque Stelle parlarono di «mancia elettorale». Quattro anni dopo, non può non affiorare il sospetto che il reddito di cittadinanza ne stia per certificare per legge un’altra, più estesa. Col rischio di esporre l’Italia al ruolo di capro espiatorio di un’Europa in crisi profonda.

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