16 Settembre 2024

In quasi trent’anni in politica e quasi dieci al governo Berlusconi è sempre stato protagonista sulla scena internazionale. Il rapporto con molti colleghi era fatto di un misto di familiarità e complicità maschile, rivalità al testosterone e goliardia. L’intesa con George W. Bush e Putin, le battute con Blair e Clinton, il gelo con Obama, gli alti e bassi con Merkel

Al Consiglio europeo di Copenaghen del 12 dicembre 2002, quello che sancì la conclusione dei negoziati di adesione all’Ue degli ex Paesi del Patto di Varsavia più Cipro, Malta e Slovenia, Silvio Berlusconi e Gerhard Schröder diedero vita a un gustoso teatrino. Si erano visti la sera prima a Dortmund, sulla tribuna d’onore del Westfalenstadion, in occasione della partita di Champions Borussia-Milan vinta dai rossoneri per 1-0. E ora il cancelliere, primo tifoso della squadra tedesca, accusava scherzosamente «Silvio» di aver promesso un premio raddoppiato ai suoi giocatori nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo quando era sceso negli spogliatoi, contrariato dalla loro scarsa prestazione: «Solo per questo avete vinto», chiosò Schröder.
Tony Blair, che assisteva allo scambio, strabuzzò gli occhi e rivoltosi a Berlusconi chiese: «Silvio, do you really own that club?, veramente sei il proprietario di quel club. Quello annuì, quasi sorpreso della domanda. Al che il premier britannico esplose: «So, why the hell are you wasting your time with us?», perché diavolo sprechi il tuo tempo con noi. Erano fatti così i rapporti di Silvio Berlusconi con molti dei leader internazionali, conosciuti nei lunghi anni del suo potere.
Prima e oltre la politica, un misto di familiarità e complicità maschile, rivalità al testosterone e goliardia. Come quando al vertice di Napoli del luglio 1994, il primo del G8 con la Russia di Eltsin, dopo la cena nella reggia di Caserta i leader si ritrovarono con le mogli nel parco davanti allo spettacolo della Fontana dei Delfini. Fu lì che Bill Clinton, in piena vena romantica, cinse il fianco di Hillary, che esclamò languida: «Wonderful». «Calmiamoci, altrimenti questa notte aumentiamo la prole», commentò malandrino Berlusconi, facendo sbellicare dalle risa il presidente americano.
Fu lo stesso vertice nel quale, dovendo andare al bagno, si accorse che anche Francois Mitterrand stava per farlo: «Prima gli anziani», gli disse strappando un sorriso al presidente francese, che nei confronti del Cavaliere non si decise mai tra il disprezzo per la sua ruspante giovialità e l’ammirazione per il coté ribaldo e il fiuto imprenditoriale.
Se volessimo ordinare per vicinanza e chimica personale con Berlusconi i potenti del mondo che lo hanno frequentato, due svettano su tutti: Vladimir Putin e George W. Bush. L’amicizia con il presidente russo è stata perfino a prova di guerra in Ucraina, come si è visto ancora di recente. Un’affinità totale tra due maschia alfa, fatta di saune, partite di caccia, fine-settimana pietroburghesi allietati da belle donne, probabili ma mai provati interessi economici (un rapporto dei servizi tedeschi dei primi Anni Duemila, definito «credibile» da una fonte del governo di Berlino, sosteneva che Putin avesse affidato dei fondi a Berlusconi per investirli) e non ultima una significativa convergenza politica sul posto della Russia nell’architettura della sicurezza in Europa.
A Putin è legato il maggior successo politico internazionale di Berlusconi, la creazione del Consiglio Nato-Russia al vertice di Pratica di Mare del 2022, poi stravolto dall’involuzione neo-imperiale e aggressiva di Mosca. Con George W. Bush galeotto fu l’Iraq, nel 2003, quando Berlusconi schierò l’Italia con la «nuova Europa» a favore della guerra, cercando prima di convincere il capo della Casa Bianca a prender tempo, ma poi rifiutandosi di seguire la deriva antiamericana di Francia e Germania.
La ricompensa la ebbe nel 2006, quando Berlusconi era in piena campagna elettorale e Bush lo invitò a Washington per una visita di Stato con tutti gli onori, compreso il discorso a camere riunite. Davanti al Congresso Berlusconi strappò cinque standing ovation, raccontando l’aneddoto di Anzio, dove da ragazzo il padre lo avrebbe portato a visitare il cimitero militare americano per ricordargli il ruolo di liberatori dei soldati Usa. Se non era vero, fu molto ben trovato.
All’estremo opposto della compatibilità con Berlusconi, stanno altri due giganti della politica mondiale degli ultimi venti anni: Barack Obama e Angela Merkel. Col primo, fu tutto sbagliato sin dall’inizio, quando il premier italiano per ben due volte definì «bello e abbronzato» il neoeletto primo presidente afroamericano degli Stati Uniti, prima di insistere in una conferenza stampa che lo aveva detto in senso positivo, visto che in quel momento (sic) «pensava a Naomi Campbell».
Da allora, Obama lo tenne personalmente sempre a distanza, tanto più dopo il gesto di apprezzamento un po’ volgare fatto da Berlusconi nei confronti della moglie Michelle al G20 di Pittsburgh. Questo non impedì al presidente americano nell’intervista che mi diede nello Studio Ovale nel luglio 2010, di elogiare l’Italia e il suo premier per la missione in Afghanistan.
Con Angela Merkel, il rapporto fu complesso. «Lei aveva un grande rispetto per lui come imprenditore e politico, e almeno all’inizio si fidava dei suoi giudizi — mi ha raccontato un ex consigliere della cancelliera —, ma non ne sopportava i modi patriarcali, il continuo sciorinare barzellette tutte o quasi a sfondo sessuale. E poi c’era la questione dei regali, che Berlusconi continuava a portarle e la mettevano in forte imbarazzo, tanto più che ogni volta gli spiegava di non poterli accettare per legge».
Perfino il campo berlusconiano rimane diviso se Merkel sia stata o meno parte attiva in un complotto per farlo fuori. Tempo dopo le dimissioni di Berlusconi, in un colloquio con alcuni colleghi europei, Merkel pronunciò queste parole: «Berlusconi non è stato uno facile. Ma ho lavorato con lui. Ai consigli europei faceva un intervento in apertura e uno in chiusura, ma in mezzo accettava tutto. Era ok. Solo alla fine è diventato un disastro».
Eppure, i momenti di maggior irritazione di Merkel verso Berlusconi furono dovuti a incomprensioni. La prima è che probabilmente il cavaliere non pronunciò mai l’insulto «culona inchiavabile» che gli è sempre rimasto appiccicato. La seconda accadde al vertice Nato di Baden Baden, nella primavera 2009, quando una cancelliera spazientita aspettò per diversi minuti Berlusconi, che invece di dirigersi verso l’ingresso dove lei lo attendeva, si era appartato sulla riva del fiume per telefonare. Merkel infastidita si allontanò per guidare gli altri leader sopra il ponte sul Reno, dove a metà passerella venne loro incontro il presidente francese Nicolas Sarkozy, un altro che con Berlusconi non si è mai preso.
Berlusconi, ancora al telefono, non c’era. In realtà, si apprese la sera che parlava con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, uno dei leader con cui ha sempre avuto ottimi rapporti personali, facendo opera di persuasione per convincerlo ad accettare la nomina a segretario generale della Nato del danese Anders Fogh Rasmussen, quello che in seguito il Cavaliere avrebbe definito «più bello di Cacciari». La mediazione andò a buon fine.
Tornando a Sarkozy, a parte l’infelice sorrisetto di scherno insieme a Merkel al vertice europeo dell’ottobre 2011 in risposta a una domanda sul premier italiano, rimase celebre il turpiloquio con cui in un bilaterale a Roma nello stesso anno il presidente francese investì Berlusconi perché intimasse all’italiano Bini Smaghi di dimettersi dal board della Bce, per sbloccare l’accordo che doveva portare Mario Draghi alla presidenza.
Andando agli albori dell’era Berlusconi, con Helmut Kohl non ci fu amicizia, ma un rapporto di convenienza. Durante lo scandalo dei fondi neri che macchiò per sempre la reputazione del cancelliere della riunificazione, il Cavaliere venne citato tra i possibili finanziatori occulti della Cdu, di cui Kohl non fece mai i nomi. Lo stesso Berlusconi, in uno scambio con dei giornalisti a Strasburgo, si lasciò scappare la battuta: «Sapeste quanto ci costa Kohl».
È un fatto che Helmut Kohl fu decisivo per aprire a Forza Italia le porte del Partito popolare europeo, ma qui bisogna dire che l’interesse politico del cancelliere era molto forte: «Ho passato tutta la vita a combattere i socialisti – disse Kohl a un amico italiano, che gli chiedeva il perché dell’apertura a Berlusconi —. Con lui avrò la maggioranza nel Parlamento europeo. Ma nel Ppe conto solo io».

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