Fonte: Corriere della Sera
di Federico Fubini e Stefano Montefiori
Il governatore della Banca di Francia Villeroy de Galhau: «Il referendum? Abbiamo bisogno di un’Italia forte». «Stiglitz ha torto: uscire dalla moneta unica sarebbe una catastrofe per le famiglie e per le imprese»
«Un patto di fiducia fra i Paesi»: secondo François Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia, tocca a Parigi, Berlino e Roma prendersi la responsabilità di un rilancio dell’area euro nel prossimo anno.
L’inflazione è ai minimi e il mercato resta scettico sulle sue possibilità di rialzarsi. La politica monetaria della Bce sta funzionando?
«Sì. Metterei un po’ in prospettiva le anticipazioni del mercato: altre, come il Survey of professional forecasters, sono significativamente più alte. La nostra previsione di inflazione indica l’1,6% nel 2018. Ci avviciniamo in modo significativo al nostro obiettivo e dovremmo superare la soglia dell’1% di inflazione in zona euro entro qualche mese. Probabilmente se non avessimo agito oggi saremmo molto più vicini alla deflazione. Stimiamo che le nostre misure rialzino sia il tasso d’inflazione che la crescita fra lo 0,3% e lo 0,5% ogni anno. Questa è una politica monetaria efficace. La sua grande virtù è di essere costante, prevedibile, leggibile. Continueremo in questa direzione».
Significa che non c’è più bisogno di aumentare il volume di acquisti, o invece li si potrebbe scaglionare?
«Dal marzo scorso, quando abbiamo varato un pacchetto globale, adatto alla traiettoria economica del momento, le nostre previsioni di inflazione e crescita si sono realizzate. Dato che le tendenze da allora non sono cambiate, non abbiamo ragione di modificare la nostra linea. Certo se la situazione dovesse cambiare, saremmo flessibili. Abbiamo sempre detto che la data di marzo 2017 non è una mannaia».
I mercati vogliono sapere che cosa succederà dopo marzo 2017.
«Stiamo mettendo in pratica esattamente quanto annunciato e abbiamo la ferma volontà e la capacità di continuare i nostri acquisti di titoli al ritmo di 80 miliardi al mese. I mercati talvolta sono volatili, anche nelle loro aspettative. Ma la nostra politica è condotta in base all’analisi dei bisogni dell’economia europea e in modo conforme al nostro mandato. In un mondo di incertezze, la politica monetaria europea è un punto di riferimento per la stabilità».
Francia e Italia fanno il possibile per approfittare del sostegno eccezionale della Bce?
«La politica monetaria da sola non basta, bisogna poter contare sui tutti e tre i pilastri della politica economica: la politica monetaria, di bilancio, e le riforme strutturali. In Francia, e probabilmente in Italia, la priorità è ampliare le riforme strutturali, al di là di quelle già realizzate. I Paesi che le hanno portare avanti con più determinazione hanno risultati convincenti. Penso alla Germania, alla Spagna o ai Paesi nordici e baltici. Ciò che fa la differenza in termini di crescita e occupazione, sono le riforme. E sono compatibili con il modello sociale europeo».
Secondo Draghi la Germania dovrebbe sfruttare i suoi margini di bilancio. Che ne pensa?
«La Germania ha la capacità di utilizzare i suoi surplus di bilancio. Servono investimenti pubblici. Anche Wolfgang Schäuble ha parlato di una riduzione delle tasse. C’è molto meno margine in altri Paesi, come la Francia e senza dubbio l’Italia. Pensare che ovunque si debba ricorrere ai deficit e rilanciare la spesa pubblica, come si sente dire di questi tempi, non ha molto senso. Se fosse questa la chiave della crescita, i Paesi del Sud dell’Europa sarebbero dei campioni. E chiaramente non è così».
Vuol dire che non esiste una ricetta unica per il rilancio economico?
«No, non c’è un “one-size-fits-all”, una misura per tutti. Proprio questo rimanda a un approccio coordinato nell’area euro. Più riforme in Francia o in Italia, maggiore sostegno di bilancio in Germania: tutti dovrebbero darsi da fare allo stesso tempo per facilitare i progressi in ciascun Paese. La definirei una strategia collettiva, un patto di fiducia tra i Paesi della zona euro. Questo presuppone un’istituzione alla base della fiducia, che potrebbe essere un ministro delle Finanze della zona euro: probabilmente un traguardo più facile da raggiungere alla fine del 2017, dopo le elezioni in certi grandi Paesi».
Joseph Stiglitz, il premio Nobel per l’economia, dice che la divergenza in area euro continua a aumentare. Propone che alcuni Paesi escano e che si faccia un euro del Sud e un euro del Nord. Che impressione le fa?
«In Europa ci sono situazioni economiche diverse ma gli elementi di convergenza, in particolare finanziaria, sono importanti: guardate al calo degli scarti tra i tassi di interesse e di inflazione, per esempio. L’euro crea convergenza, le differenze invece riflettono il ritmo delle riforme dei singoli Paesi. L’analisi di Stiglitz è un po’ leggera su quel che succederebbe se un Paese uscisse dall’euro. Sappiamo quali sarebbero le conseguenze immediate: speculazione sulla moneta e sui tassi di interesse, con aumento dei peso degli oneri finanziari per famiglie e imprese, e lo Stato pagherebbe interessi più alti sul debito. Stiglitz cita gli esempi dell’Islanda che ha introdotto controlli sui capitali, e dell’Argentina, che ha ristrutturato il debito. Non raccomando affatto questi modelli, né al mio Paese né agli altri. Oltretutto i cittadini dei Paesi della zona euro sono in grande maggioranza — al 68% — affezionati alla loro moneta».
È preoccupato dal referendum in Italia?
«Non faccio commenti sul dibattito politico italiano. Ma sono convinto che la zona euro ha bisogno di un’Italia forte. Ci sono già stati un certo numero di movimenti incoraggianti. Penso alle riforme istituzionali come a quelle economiche, all’esempio del Jobs act, che produce risultati interessanti. Una priorità è finire di risolvere la questione dei crediti deteriorati che pesano su certe banche italiane. È un elemento che frena la crescita in Italia, ma la Banca d’Italia guidata da Ignazio Visco e il governo sono attivi in questo senso».