16 Settembre 2024
Javier Milei scaled Argentina

Dopo aver visitato Israele e l’Italia, dove ha incontrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la premier Giorgia Meloni e il suo compatriota papa Bergoglio, il presidente dell’Argentina Javier Milei come bentornato sul suolo patrio si è visto consegnare la settimana scorsa la sconfitta del suo partito La Libertad Avanza, quello che lo ha portato trionfalmente tre mesi fa alla Casa Rosada. La mega legge Omnibus (ben 664 articoli studiati per «rivoluzionare il Paese») è stata infatti affossata dal Parlamento argentino nella sua versione sfoltita e ridimensionata (il dito è puntato sull’ex presidente Mauricio Macri, che aveva inizialmente offerto un appoggio per il voto in Aula, che è poi mancato).

Il primo risultato della «terapia shock»
El loco iperliberista però al suo rientro ha avuto anche una soddisfazione: l’Argentina a gennaio ha registrato un avanzo finanziario di 518.408 milioni di pesos argentini (ovvero 576 milioni di euro). Secondo i dati comunicati dal ministero dell’Economia, questo è il primo risultato finanziario positivo del Paese dall’agosto 2012 (e per il solo mese di gennaio dal 2011). Nel primo mese dell’anno, l’Argentina ha così registrato un avanzo primario di 2.010 miliardi di pesos argentini (2.234 milioni di euro) e le entrate totali hanno raggiunto i 6.100 miliardi (6.830 milioni di euro), che equivalgono a un incremento del 256,7% su base annua.

Inflazione al 254%
Mentre i dati ufficiali dicono che a gennaio l’inflazione argentina ha raggiunto il 254,2% annuo, Milei (con la sua «terapia shock» per far uscire il Paese dalla pesantissima crisi economica) segna il suo primo punto, avendo promesso in campagna elettorale che sarebbe arrivato prima possibile a un saldo di bilancio zero, meglio ancora se in avanzo. «In Argentina il disavanzo è sempre stato finanziato dalla Banca centrale, stampando moneta», spiega al Corriere Antonella Mori, docente di macroeconomia e scenari economici all’Università Bocconi di Milano e responsabile del programma America Latina all’Ispi. «Questa però è la causa principale dell’inflazione, dunque il primo passo per bloccare il processo inflazionistico non può che essere eliminare il disavanzo di bilancio, ragione per la quale», prosegue Mori, «appena insediato il 10 dicembre scorso, Milei ha emesso un decreto presidenziale d’urgenza con il quale ha deciso tagli consistenti alla spesa pubblica, bloccando tutti gli investimenti infrastrutturali non ancora iniziati».

Il pragmatismo
Ma come sappiamo molto bene anche noi in Italia, tra le roboanti promesse elettorali e il governare un Paese, in mezzo c’è la necessità di diventare pragmatici: Milei, che considera le tasse un furto da parte dello Stato, quelle tasse invece di tagliarle le ha aumentate, contravvenendo così a quanto promesso durante la campagna per le presidenziali. «L’ex ministro dell’Economia Sergio Massa, arrivato al ballottaggio con Milei, durante il precedente governo aveva ridotto o eliminato le tasse sui redditi per la maggioranza degli argentini», spiega Mori. «Milei ora quelle tasse ha dovuto reintrodurle, frenando un po’ il suo spirito anarco-capitalista. Quindi il neo presidente dell’Argentina ha lavorato moltissimo sia dal lato delle entrate, aumentando le tassazioni anche sulle esportazioni e le importazioni, sia dal lato delle uscite: si stima infatti che quest’ultime potrebbero essere state ridotte del 30%, dunque di quasi un terzo».

La recessione
Ora però si avvicina il momento più difficile, che Milei ha detto «sarà tra marzo e aprile», quando – sostiene sempre lui – «si toccherà il fondo e inizierà la ripresa». Le previsioni per il 2024 parlano indiscutibilmente di un’Argentina in recessione, «ma l’obiettivo per quest’anno non può che rimanere quello dieliminare o almeno bloccare il processo inflazionistico e portare l’inflazione a livelli più ragionevoli», spiega ancora Antonella Mori, «perché un’inflazione che su base annua supera il 250% significa distruggere l’economia e perché l’inflazione, come si sa, è il nemico numero uno dei poveri».

La dollarizzazione dell’Argentina
Difficile invece dire, per ora, del destino delle altre riforme strutturali che Milei ha promesso. Se sul versante delle tasse il presidente ha già dovuto arretrare in nome del pragmatismo (e perché il suo è un governo di coalizione), per quanto riguarda la dollarizzazione dell’economia argentina per ora tira dritto (con il progetto che però da imminente si sposta sul medio periodo). «Se finiamo di ripulire le passività remunerate della Banca centrale e realizziamo la riforma finanziaria, possiamo partire», ha dichiarato a una radio il presidente argentino, assicurando di aver già avuto il via libera del Fondo monetario internazionale. Anche se, come chiarisce Antonella Mori, «l’Fmi ha sì rinnovato il credito, ma non arriveranno nuovi soldi, arriveranno solo i soldi necessari per ripagare il Fondo».

Il 57% degli argentini sono poveri
Di certo, nei prossimi suoi passi Milei non può ignorare la difficile situazione sociale. Ci sono province argentine il cui bilancio dipende per oltre il 70% dalle tasse raccolte dal governo e dove oltre il 60% dei lavoratori sono dipendenti statali. I tagli draconiani decisi da Milei avranno ripercussioni pesantissime (nella provincia di Roja, ad esempio, il governatore per cercare di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici ha deciso di stampare una valuta provinciale, a metà tra un buono e una moneta vera e propria). «Gli ultimi dati disponibili stimano che il 57% della popolazione sia povera», sottolinea  Antonella Mori. «Nonostante i tagli avviati e quelli promessi, Milei dovrà comunque mantenere alcune delle voci della spesa sociale per le classi più povere, voci che comunque vedranno un ridimensionamento e conseguenze molto dure per la popolazione nel breve periodo».

Le ritorsioni
Intanto, il governo il 16 febbraio ha annunciato di aver tagliato 28 fondi fiduciari pubblici, che avevano lo scopo di finanziare gli enti locali e garantire gli investimenti in opere pubbliche. Secondo i calcoli fatti dal governo, tutti i fondi pubblici rappresentano una spesa di oltre 2 miliardi di dollari, equivalenti a un mezzo punto percentuale del Pil argentino, «scatole nere» sulle quali si deve intervenire senza pietà. Per le opposizioni, invece, il provvedimento è una rappresaglia di Milei nei confronti dei governatori delle Province, in parte responsabili dell’affossamento della legge Omnibus. Così, varie organizzazioni hanno annunciato per il 22 febbraio una nuova protesta contro il piano economico del governo, contro i tagli e per chiedere aiuti(tra le varie cose si chiede anche di tornare a rifornire le mense comunitarie e nuove consegne di materiale scolastico), mentre la Confederazione generale del lavoro accusa il governo di aver fatto fallire il tentativo di accordo tra sindacati e imprenditori sul salario minimo.

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