La «Via del cotone» forse non andrà lontano ma al vertice di New Delhi è emerso un feeling tra India e Italia
Il G20 è sempre meno la sede deputata a tracciare le linee direttive dell’Occidente allargato nel contesto internazionale, e sempre più un luogo di incontro fra realtà diversificate, che sfuggono a una catalogazione omogena. Con l’aumento dei partecipanti diminuiscono le capacità decisionali (male comune a tutti gli organismi internazionali), ma le occasioni di scambio e di confronto possono favorire mediazioni che aiutano a decrittare l’evoluzione di assetti in costante movimento.
Il comunicato conclusivo del Vertice di New Delhi contiene molti spunti di interesse: dalla riforma della governance finanziaria mondiale alla transizione energetica e i biocombustibili, che interessano da vicino l’Italia. Se fosse mancata una qualche forma di condanna dell’aggressione russa, sarebbe stato per la presidenza indiana un segnale di debolezza esattamente contrario a quello che Modi intendeva raggiungere, e che alla fine ha raggiunto, riuscendo anche a tenere in qualche modo conto delle aspettative di Putin.
Il linguaggio non è stato quello che americani ed europei avrebbero voluto, ma è stato giocoforza accettarlo perché l’andamento della riunione non ha consentito molto altro. L’Ucraina era un punto irrinunciabile per l’Occidente e, senza l’Occidente, il G20 avrebbe perso gran parte del suo significato; c’erano delle serie ragioni di realpolitik per procedere, ma il conflitto, le sue ragioni e il tema della legalità internazionale sono stati visti da più parti come interni al solo mondo sviluppato, per il quale era necessario esprimere appoggio tenendo al tempo stesso le distanze. Non è stato un segno del declino dell’Occidente, come qualcuno aveva avventatamente preconizzato e che rimane invece ben saldo, bensì del fatto che in un mondo che ha vissuto la fine delle ideologie e la breve illusione dell’unipolarismo, la ricerca di nuovi equilibri stabili è lungi dalla fine.
Non è stato un caso che, insieme ad una inusitatamente flessibile presidenza indiana, il compromesso sull’Ucraina sia stato raggiunto dal Brasile e dal Sud Africa. Il «global south» è entrato di gran carriera nel G20 a Delhi: era quanto Modi si era prefisso e l’obiettivo è stato raggiunto aldilà delle sue stesse previsioni. L’India ha utilizzato l’occasione per cercare di ergersi a suo portavoce e di raggiungere in questo modo la posizione di grande potenza cui aspira, allo stesso titolo di Cina e Stati Uniti. È una democrazia tutto sommato rappresentativa, con una dose crescente di autoritarismo e una economia di mercato temperata dal centralismo burocratico; ritiene di avere le credenziali giuste e Modi, convocando con un colpo di genio tattico. un secondo Vertice a distanza del G20 in novembre, punta a consolidare la sua posizione prima di cedere la presidenza al Brasile di Lula.
Il «global south» è una entità complessa e contraddittoria, in cui si riconosce quella parte significativa del mondo che alla dicotomia fra democrazia e autocrazia preferisce quella fra mercato e disuguaglianza, che ritiene (erroneamente, ma le cose stanno così) l’aggressione russa un problema lontano dai suoi interessi, guarda con diffidente attenzione alla Cina e si ritiene «altro», non necessariamente ostile, rispetto all’Occidente e alle sue dinamiche. Fa pensare al vecchio «Gruppo dei 77» di Perez Guerrero ed è dall’America latina che ha preso le prime mosse: la Cina aveva tentato di assumerne la guida, ma la mossa dell’allargamento dei Brics in una chiave troppo marcatamente ideologica, ha finito per ritorcersi contro di lei e rilanciare il ruolo dell’India
Xi Jinping aveva voluto marcare la distanza da un G20 estraneo alla sua visione, ma ha finito per lasciare il campo al suo avversario indiano, che non ha perso tempo nel metterlo in ombra sui Brics e il «global south» e si è fatto promotore, insieme agli Usa e col consenso europeo, del progetto della «Via del cotone», il nuovo corridoio fra India, Africa e Medio Oriente immaginato per tagliare le gambe all’espansionismo cinese in Africa. Joseph Biden è stato invece molto presente, non solo per la «Via del cotone, sottolineando un rapporto privilegiato con l’India in funzione anti-cinese che ha confermato ancora una volta quale sia il partner — ma non l’alleato — che conta di più per Modi.
La «Via del cotone» forse non andrà lontano, ma ha rappresentato un assist importante per l’Italia nella difficile partita del disimpegno dalla Via della seta. Le storie politiche di Narendra Modi e Giorgia Meloni, fatte le debite differenze, hanno diversi punti di contatto: entrambi provengono da una destra estrema che li ha tenuti a lungo ai margini del discorso politico (pochi ricordano che sino a non molti anni fa a Modi era negato il visto d’ingresso nei paesi dell’Ue); entrambi puntano a diventare leader moderati rispettati internazionalmente e contano su un forte sostegno interno. I rapporti fra Italia e India sono antichi, ancorché altalenanti, e attraversano una fase positiva da cui trarre vantaggio. Senza dimenticare che se per l’Italia l’India è una priorità strategica, l’India guarda all’Italia con simpatia… Un esempio. Subito dopo la conclusione del G20, Modi ha rilanciato con forza la candidatura a un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza, che rappresenta l’eterna araba fenice della politica estera italiana e ci vede su fronti contrapposti. A Delhi ce lo avevano preannunciato?