22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Marco Bresolin e Bruno Ruffilli

Su siti e social le notizie saranno contenuti sempre più preziosi


Quanto costerà ai colossi del Web la nuova direttiva sul copyright? Quanto riusciranno a incassare autori ed editori dalle nuove norme? Come funzioneranno i filtri per bloccare i contenuti che violano il diritto d’autore? Trovare risposte non è semplice, anche perché bisognerà prima attendere le leggi nazionali che recepiranno le indicazioni della direttiva e definiranno con esattezza i parametri. Ma c’è chi prova a fare una stima: è Eric Leandri, fondatore e Ceo di Qwant, motore di ricerca francese che ha toccato lo scorso anno 10 miliardi di richieste e 70 milioni di visite mensili. «Un accordo ragionevole potrebbe prevedere una percentuale intorno al 4 per cento del fatturato totale della pubblicità», dice. Per Google in Europa si tratterebbe indicativamente di 1,5 miliardi di euro, da dividere fra i vari Paesi; alla Francia andrebbero tra 150 e i 200 milioni, all’Italia fra i 70 e i 100. «In realtà le news sono il contenuto più importante, quello che spinge le persone a usare un motore di ricerca. Se si tolgono le notizie, i risultati sono sempre gli stessi, sono le news che cambiano».
Oggi disponibile in oltre 160 Paesi e punta a raggiungere tra il 5 e il 10 per cento del traffico europeo entro il 2020. «Il nostro modello di business è lo stesso di Google dal 1997 al 2004, quando non tracciava gli utenti: guadagniamo da affiliazioni e pubblicità, ma rispettando la privacy». E sulla direttiva Ue la posizione è chiara: «È una legge giusta perché porta un compenso agli autori. Per noi non sarebbe una novità: lo abbiamo già versato anni fa, in Germania, poi abbiamo visto che altri non facevano altrettanto e abbiamo smesso».
Per l’articolo 15 (ex articolo 11) sarà sempre consentita la condivisione dei semplici link che rimandano agli articoli giornalistici, ma anche l’utilizzo di «singole parole» o di «estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico». Spetterà ai legislatori nazionali definire con esattezza questi criteri, oltre i quali scatterà il diritto d’autore (che si applicherà per due anni). Parte dei proventi dovrà essere poi girata ai giornalisti.
Appare invece più complicata l’applicazione delle norme introdotte dall’articolo 17 (ex articolo 13) che impone ai siti l’utilizzo di filtri in grado di intercettare ed eventualmente bloccare i contenuti protetti da copyright (a meno che i titolari del sito non dispongano delle licenze). Il compromesso raggiunto in questi mesi ha permesso di escludere le «enciclopedie online senza fini di lucro» (come Wikipedia) e le start-up (saranno esentate le società con meno di tre anni di vita, fatturato annuo inferiore a 10 milioni di euro e meno di 5 milioni di utenti unici mensili). Nessuna limitazione ai materiali pubblicati «a scopo di caricatura o parodia» oppure come «citazione, critica o rassegna».
Dal 2017, con il filtro Content Id, Google ha versato oltre 2,5 miliardi di euro ai creatori di contenuti le cui opere sono state riprodotte senza consenso su YouTube e rimosso dal motore di ricerca più di 3 miliardi di indirizzi web per violazione del copyright. «Ma un filtro può diventare un pericolo per la libertà di pensiero ed espressione sul web», osserva Leandri. E pensa a «un database aperto e collettivo dove siano registrate le opere, in modo che chi vuole usare ad esempio una foto può controllare prima se deve pagare e scegliere liberamente se metterla online o cercarne un’altra».
La nuova direttiva europea danneggerà i piccoli editori più dei grandi? «Grandi e piccoli editori devono rimanere compatti e puntare sulla qualità delle news. Che non sono come altri contenuti online: la stampa non può diventare prigioniera di una piattaforma, che sia Google o Apple. Deve essere indipendente per conservare la sua funzione critica».

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