19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Marco Bressolin

L’Alto Commissario della Nazioni Unite per i rifugiati: lavoriamo con Bruxelles a un piano di 40 mila arrivi

Un maxi-piano Ue di reinsediamenti per valutare le richieste d’asilo direttamente in Africa e portare in Europa chi ne ha diritto attraverso i corridoi umanitari. Ci sta lavorando la Commissione con il sostegno operativo dell’Unhcr, che è pronto a gestire uno schema «da 40.000 posti l’anno». Filippo Grandi, Alto Commissario Onu per i Rifugiati, ne ha parlato ieri a Bruxelles durante un pranzo con i ministri degli Esteri e Federica Mogherini. Una strategia che aiuterebbe a frenare le attraversate in mare, anche se non risolverebbe l’intero problema. Secondo le stime dell’Unhcr, i rifugiati che arrivano attraverso il Mediterraneo centrale sono «il 30-40% del totale. Per questo gli Stati europei – spiega Grandi – dovrebbero anche stabilire quote organizzate per l’immigrazione regolare».

Come pensate di intervenire per portare in Europa i richiedenti asilo in modo sicuro?
«Lavorando nei principali Paesi di transito, ma anche nella stessa Libia, nonostante lì ci siano parecchi problemi di sicurezza. Non c’è nulla di nuovo in questa attività, che già portiamo avanti da tempo a livello mondiale. Si tratterebbe soltanto di potenziarla. Noi siamo in grado di affrontare un piano da 40 mila trasferimenti l’anno in Europa. Bisogna spingere i richiedenti asilo che fuggono dai loro Paesi a rivolgersi a noi: dobbiamo diventare un’alternativa reale ai trafficanti».

A oggi quanti reinsediamenti fate in Europa?
«Pochi. A livello globale siamo sui 200 mila l’anno, ma la maggior parte riguardano gli Usa. O meglio, riguardavano: l’ultimo anno di Obama siamo arrivati a quota 85 mila, oggi siamo scesi a 50 mila. Un passo indietro che speriamo sia solo temporaneo. Dall’Europa ci attendiamo una proposta che preveda quote più ampie di reinsediamenti. La Commissione ci sta lavorando».

Il problema è che i precedenti non lasciano ben sperare: il piano di redistribuzione dei richiedenti asilo da Italia e Grecia è fallito…
«È vero, è stato un progetto abbastanza fallimentare. C’è un problema di solidarietà interna, ma anche di criteri. Attualmente possono partecipare solo i rifugiati che appartengono a una nazionalità con un tasso di riconoscimento delle domande pari al 75%. Questo va cambiato: le liste di candidati vanno fatte su base individuale, non secondo la nazionalità».

Quali sarebbero i Paesi coinvolti dal vostro piano di reinsediamenti?
«Molti di quelli in cui li facciamo già. Penso al Kenya e all’Etiopia, che ospitano i rifugiati somali. O all’Africa occidentale, per esempio: Niger, Burkina Faso, Ciad, Sudan… Non solo dobbiamo evitare che queste persone attraversino il Mediterraneo, ma anche che si mettano in marcia nel deserto. Intervenire in Libia è già tardi».

Ma in Libia già oggi ci sono quasi 300 mila migranti: ci sarebbero le condizioni per allestire punti in cui vagliare lì le domande d’asilo?
«È uno dei nostri obiettivi e infatti abbiamo deciso di aumentare la nostra presenza. Ma la situazione è molto complicata dal punto di vista della sicurezza. In Libia bisogna uscire dalla logica dei centri di detenzione e stabilire dei centri di accoglienza in cui aiutare queste persone a trovare delle soluzioni».

Non tutti però hanno i requisiti per l’asilo: che fare con gli altri?
«Bisogna far funzionare i programmi di rimpatrio. Finora sono gestiti su base bilaterale, servirebbe una maggiore coesione a livello europeo. Anche se tutto non si può risolvere con i reinsediamenti e i rimpatri…».

Servono canali di immigrazione regolare?
«Premetto che questa non è la mia materia, visto che io mi occupo di rifugiati. Però i Paesi europei dovrebbero trovare il coraggio di stabilire quote organizzate per le migrazioni regolari. Bisogna capire che la gente emigra comunque. E se non ci sono vie legali, continuerà a farlo nell’illegalità. Anzi, se l’unica via legale che offriamo è quella del diritto d’asilo, chiunque cercherà di infilarsi lì. Con il rischio di logorare il sistema».

In Italia si parla della possibilità di rilasciare visti per ragioni umanitarie: ci sono le condizioni?
«Non ne abbiamo parlato a Bruxelles, nessuno l’ha richiesto ufficialmente. Io sono a favore di un più equo sistema di sbarchi, per ridurre la pressione sull’Italia. Però qualsiasi iniziativa deve passare da un accordo collettivo. Le azioni unilaterali rischiano di non essere sostenibili».

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