Siamo entrati in un mondo dove le certezze di un tempo sono svanite, in cui occorre, giorno per giorno, valutare i pro e i contro di qualunque mossa

Mondo cambiato, problemi inediti. Per quanto tempo ancora sarà possibile cercare (malamente) di nascondere sotto la sabbia il fatto che, qui da noi, a destra come a sinistra, ci siano divisioni potenzialmente esplosive che riguardano, niente meno, la collocazione internazionale dell’Italia? Davvero sarà possibile, alle prossime elezioni, che si presentino davanti agli italiani per ottenerne il voto, due coalizioni, quella di destra e quella di sinistra, che più sgangherate di così non si può, due coalizioni in cui pretendono di convivere filorussi e filoccidentali, nemici e amici di chi guida attualmente l’Unione europea, nemici e amici di Zelensky
Quanto tempo occorrerà prima che si realizzi una convergenza fra forze politiche di maggioranza e di opposizione su una definizione minima di interesse nazionale, declinata in chiave finalmente realistica, non ideologica? Perché ci si arrivi occorre che ciascuna di tali forze rinunci a qualcosa, riconosca come irrealistici, e potenzialmente dannosi per il Paese, alcuni dei messaggi fin qui inviati agli elettori, e su cui, almeno in parte, esse avevano costruito la propria identità. Che cosa si può intendere, nelle condizioni oggi date, per definizione realistica dell’interesse nazionale? Una definizione minima, depurata da dogmi ideologici, dell’interesse nazionale italiano dovrebbe, per lo meno, accettare quanto segue.
Dovrebbe in primo luogo riconoscere che, da un lato, non c’è incompatibilità fra interesse italiano e interesse europeo (avvertimento per chi continua a coltivare, a destra, sogni sovranisti) e, dall’altro, che non esiste un interesse europeo che possa mangiarsi, sostituirsi all’interesse italiano (avvertimento per gli euro-entusiasti di sinistra).
Dalla sicurezza militare al controllo dei flussi migratori, alla cooperazione economica, non c’è modo, né ha alcun senso, contrapporre interesse italiano e interesse europeo. Così come non ha alcun senso raccontarsi che dobbiamo perseguire l’interesse europeo a scapito dell’interesse nazionale. Poiché c’è un solo modo sensato di definire l’interesse europeo: come il frutto della negoziazione fra interessi nazionali, fra Paesi che convergono su una piattaforma comune pur avendo differenti priorità, sensibilità, tradizioni nazionali. L’interesse europeo è ciò che resta dopo che queste differenze siano state smussate e rese compatibili grazie a concessioni reciproche.
Facciamo un esempio: non ha senso, nelle condizioni internazionali in cui ora ci troviamo, contrapporre difesa militare europea e difesa nazionale. Perché investire sulla difesa europea non esime dal rafforzare la difesa nazionale. In un’ipotetica futura Europa capace di difendersi militarmente, sarebbe richiesto sia un coordinamento centralizzato a livello europee delle forze armate (ombrello nucleare anglo-francese incluso) sia un rafforzamento delle capacità militari dei singoli Stati (a cominciare da quelli, come l’Italia, che hanno le maggiori carenze).
Un’eventuale futura difesa dell’Europa non può che essere «multi-livello», dovrebbe combinare capacità di deterrenza e, eventualmente, di azione, a livello europeo, e capacità di deterrenza e, eventualmente, di azione a livello nazionale. Da attivare in un modo o nell’altro, o congiuntamente, a seconda delle circostanze e della natura delle minacce. Piaccia o meno, tutto ciò, sia ai sovranisti che, irrealisticamente, si accontenterebbero di una difesa esclusivamente nazionale sia a coloro che alla difesa nazionale contrappongono (ma, si teme, senza sapere di cosa stanno parlando) l’idea di un esercito europeo che — nei loro sogni, nella loro propaganda — dovrebbe prendere il posto di quelli nazionali.
Per inciso, convergere su una definizione minima di interesse nazionale per quanto riguarda la sicurezza, dovrebbe obbligare molti che lo hanno fin qui creduto a riconoscere che non è possibile contrapporre la diplomazia (l’arma dei sedicenti «buoni») e la forza militare (l’arma dei cattivi). In un mondo di lupi trattare diplomaticamente si può e si deve tutte le volte che è possibile farlo ma solo mettendo sul tavolo un grosso bastone (la forza militare). Altrimenti, la cosiddetta trattativa diplomatica sarà soltanto una diplomatica resa.
Di una concezione realistica dell’interesse nazionale dovrebbe anche essere parte l’idea che, per quanto non ci piaccia (e alla schiacciante maggioranza di noi non piace di sicuro), siamo comunque obbligati a trattare con Trump. E dunque fanno benissimo Macron, Meloni, Starmer (ma lo farà indubbiamente anche il prossimo cancelliere tedesco Friedrich Merz ) a trattare con lui. Tenendo anche conto della sua ostilità per le autorità di Bruxelles. Per quanto quei rapporti siano in crisi, non possiamo rinunciare all’atlantismo e alla Nato. E dobbiamo tentare di salvare il salvabile dei legami economici fra Europa e America. Dobbiamo insomma fare buon viso a cattivo gioco.
Infine, di una concezione realistica dell’interesse nazionale deve essere parte integrante l’idea che, con chiunque si tratti (cinesi, indiani, sauditi, eccetera, nonché la Turchia, cosiddetta alleata ), interessi commerciali e interessi di sicurezza devono sempre, in qualunque momento, essere tenuti presenti. Siamo entrati in un mondo dove le certezze di un tempo sono svanite, in cui occorre, giorno per giorno, valutare i pro e i contro di qualunque mossa.
Oggi è fantapolitica ma domani chissà. Può essere che arrivi il giorno in cui la pressione esterna imponga soluzioni un tempo inimmaginabili, che ai più sarebbero sembrate aberranti, contro-natura. Può essere che le circostanze costringano le forze politiche interessate a preservare la democrazia nel senso occidentale (ossia, liberale) del termine e a farlo, assicurando, nella misura del possibile, condizioni di relativa sicurezza al Paese, a inventare qualcosa che, detta così, può scandalizzare, anzi scandalizza di sicuro, molti: la formazione di governi di salvezza nazionale. L’idea sarebbe certo dura da digerire per coloro che continuano a ragionare usando le categorie che andavano di moda nel XX secolo. Il secolo attuale, però, è tutt’altra cosa.

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