Altrove la crescita media è di +38,5%. Boom di contratti a tempo determinato, in Italia c’è voluto più tempo per risollevarsi dalla crisi pandemica e il 10,8% degli occupati è sotto la soglia di povertà
Come è messa l’Italia sul fronte lavoro? Male. E rispetto agli altri Paesi Ocse è l’unico che, negli ultimi 30 anni (dal 1990 al 2020) ha registrato un calo dei salari (-2,9%). Un dato allarmante, che colpisce ancora di più se raffrontato, appunto, a quel +38,5% che rappresenta la crescita media dei 36 Paesi Ocse. E’ quanto emerge dal “Rapporto Inapp 2022 – Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro” presentato oggi alla Camera dei Deputati. Considerando i dati relativi all’ultimo trentennio, colpisce poi il dato sulla produttività che è cresciuta del 21,9%: non sembrano, dunque, aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro. Nell’ultimo decennio (2010-2020), in particolare, i salari sono diminuiti dell’8,3%.
Il 10,8% degli occupati sono sotto la soglia di rischio della povertà
Non finisce qui. La situazione peggiora ancora di più se guardiamo al dato sugli occupati. I lavoratori poveri rappresentano il 10,8% del totale degli occupati, rispetto a una media Ue dell’8,8%. E’ uno degli aspetti che emergono dallo stesso rapporto. Nell’ultimo decennio (2010-2020), ad esempio, il tasso di “lavoro povero”, spiegano dall’Inapp, è stato pressoché costante con un valore medio pari a 11,3% e una distanza rispetto all’Unione europea superiore mediamente del 2,1%. L’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri lavoratori europei. Se consideriamo il 40% dei lavoratori con reddito più basso, il 12% non è in grado di provvedere autonomamente ad una spesa improvvisa, (quindi non ha risparmi o capacità di ottenere credito), il 20% riesce a fronteggiare spese fino a 300 euro e il 28% spese fino a 800 euro. Quasi uno su tre ha dovuto posticipare cure mediche.
In Italia tasso di occupazione ai livelli pre crisi in 18 mesi
Altro aspetto: in Italia ci è voluto più tempo rispetto agli altri Paesi per raddrizzare il tasso di occupazione sceso nel corso della pandemia: scivolato in basso di circa due punti percentuali, dal 58,8 al 56,8% all’inizio della crisi dovuta al Covid, ha ripreso a crescere solo nel 2021 e ha impiegato 18 mesi per tornare ai livelli pre-crisi. Nei Paesi Ocse la risalita era già consistente nel secondo trimestre 2020 e si è completata in 15 mesi. Nel 2021 sono stati 11.284.591 le nuove assunzioni, con prevalenza della componente maschile: 54% contro il 46% per le donne.
Boom del tempo determinato
E adesso? Terminata l’emergenza Covid-19 il mercato del lavoro appare ancora intrappolato nella precarietà: dei nuovi contratti attivati nel 2021 sette su dieci sono a tempo determinato, il part time involontario coinvolge l’11,3% dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2%), solo il 35-40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni ad impieghi stabili, i lavoratori poveri rappresentano ormai il 10,8% del totale.