La Banca d’Italia ha fatto i conti: se il tasso di occupazione femminile arrivasse al 60%, il Prodotto interno lordo potrebbe aumentare di 7 punti percentuali
Ci sono numeri che più di altri raccontano i ritardi da colmare di un Paese. E nel caso dell’occupazione femminile si va molto oltre la questione di genere, c’è il divario nelle carriere, la possibilità di crescita, le condizioni che rendono più complicato lavorare per le donne. Elementi che costringono a rallentare lo sviluppo e consegnano un sistema meno competitivo, meno produttivo.
Dunque, l’inclusione non è soltanto una questione morale (che pure resta centrale) ma di occasioni, di modernizzazione, di futuro, negate all’intera comunità. La Banca d’Italia ha fatto i conti: se il tasso di occupazione femminile arrivasse al 60%, il Prodotto interno lordo potrebbe aumentare di 7 punti percentuali. E invece tutto questo non accade ancora. L’anno scorso si è chiuso con una crescita del 3,9 per cento, con un rallentamento nel quarto trimestre. Certo la capacità di reazione sarebbe ancora più forte, con una maggiore inclusione di genere. L’ultima fotografia dell’Istat racconta invece di fabbriche, uffici, alberghi, negozi, nei quali il 90% degli occupati in più ha riguardato gli uomini. Un dato che fotografa la situazione a dicembre 2022 rispetto all’anno precedente. Cercare le ragioni è complicato e intuitivo allo stesso tempo, in piena pandemia chiusero le attività nelle quali le donne erano più attive, adesso che qualcosa, lentamente, si muove sono le ultime a beneficiarne. Allora la perdita di lavoro riguardò al 99 per cento proprio le donne.
Eppure, qualcosa si sta tentando per cambiare, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono stati stanziati 400 milioni per il Fondo Impresa Donna, il Pnrr stabilisce che devono essere almeno il 30% degli occupati generati dagli investimenti alimentati dalle risorse europee. Obiettivi che vanno controllati, verificati, incentivati. Ci sono cose che si muovono, però. Secondo il Gender diversity index l’Italia è al sesto posto tra i 19 Paesi analizzati, ma solo il 3% delle donne ricopre incarichi di vertice. C’è una legge, la Golfo-Mosca che ha rappresentato una vera e propria svolta, con l’introduzione delle quote di genere, una scelta non condivisa da tutti, che alla fine ha portato nei consigli di amministrazione delle società di Borsa, la presenza femminile al 42,8%. Salvo poi osservare che un gruppo come Atlantia, appena si è ritirato dal listino, decida di non rinnovarle. Segno che di strada bisogna farne ancora molta. E il Pnrr può essere un’occasione preziosa, per il triennio 2024-2026 stabilisce un obiettivo: l’incremento del lavoro delle donne deve essere pari al 4%. Certo è tutto eccessivamente lento per un Paese che ha bisogno di crescere, il tasso di occupazione femminile al 51,3% è ancora troppo poco. E allora bisogna ragionare su quali siano gli ostacoli culturali, economici, normativi, nelle condizioni di welfare che possano agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro. Una prima risposta? Serve uno sforzo eccezionale per aumentare le competenze matematiche e tecnologiche (cosiddette Stem), che sarebbe un acceleratore di parità incredibile. Le soluzioni sono state individuate più volte, bisogna attuarle.
E qui i numeri dai quali partire non mancano: basta leggere il documento che tutte le società quotate in Borsa devono elaborare, si chiama Rendiconto non finanziario e fotografa la situazione di genere, insieme ai parametri di sostenibilità. Sarebbe interessante che il ministero del Lavoro partisse da questi dati per immaginare possibili percorsi. C’è una norma che invece potrebbe destare sorprese positive, vista la velocità di reazione delle imprese italiane: una legge ha individuato 33 criteri, dalle condizioni di selezione del personale, alla tutela del lavoro di cura (che andrebbe sempre di più condiviso), all’equità delle retribuzioni, chi supera quest’esame ha diritto ad uno sconto sulle tasse. Si dirà che le questioni morali ed etiche non vanno confuse con le agevolazioni sulle tasse, ma se può essere efficace meglio provare a ripartire da qui. Per raggiungere l’obiettivo 5 indicato dall’Onu per il 2030: «Porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione nei confronti di donne e ragazze».