Non contrastare con più efficacia la povertà significa minare il futuro, visto che l’Istat sottolinea come il 13,8% di chi ha meno di 18 anni, ovvero 1,3 milioni di minori, sia in povertà assoluta: il valore più elevato dal 2014
«I dati dell’occupazione, nel nostro Paese, segnano una crescita che conforta. Tuttavia l’occupazione si sta frammentando, con una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre più in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontari, e da precarietà. Si tratta di elementi preoccupanti di lacerazione della coesione sociale. È la condizione che riguarda anche molti immigrati, sovente esposti a uno sfruttamento spietato, inconciliabile con la nostra civiltà», ha detto mercoledì il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, consegnando le Stelle al merito del lavoro. Parole che non avrebbero potuto fotografare meglio la realtà, visto che, mentre il presidente parlava al Quirinale, l’Istat diffondeva l’indagine sulla povertà in Italia nel 2023. Che dà sostanza, con i numeri, al messaggio di Mattarella.
Le famiglie in povertà assoluta, cioè quelle che secondo la definizione dell’istituto di statistica non sono in grado di acquistare un paniere di beni e servizi in grado di assicurare «uno standard di vita minimamente accettabile», sono 2,2 milioni (8,4% del totale), per 5,7 milioni di persone (9,7% dei residenti nel nostro Paese). Con una importante differenza: fra le famiglie con almeno uno straniero la povertà assoluta è pari al 30,4% mentre si ferma al 6,3% per le famiglie composte solamente da italiani.
Infine, il 16,5% delle famiglie dove chi lavora è un operaio si trova in povertà assoluta, un dato in aumento rispetto al 14,7% del 2022. Sono i poveri nonostante il lavoro, di cui ha parlato il presidente, appunto.
Il Reddito di cittadinanza — sebbene abbia salvato dalla povertà un milione di persone durante la pandemia (stima Istat) — non ha funzionato, soprattutto per la carenza di controlli, che ha determinato troppi abusi. La riforma varata due anni fa dal governo Meloni, ha limitato gli abusi ma ha tagliato fuori anche una parte di poveri veri (fra il primo semestre 2023 e il primo semestre 2024 le famiglie assistite dall’assegno di povertà che prima si chiamava Reddito di cittadinanza e ora Assegno di inclusione si sono quasi dimezzate, da 1,3 milioni a 695mila) e ha fallito l’obiettivo di collocare al lavoro i cosiddetti «occupabili».
La manovra appena varata dal governo, a parte un rifinanziamento di 500 milioni per la carta «Dedicata a te» (una somma una tantum di 500 euro per le famiglie con Isee fino a 15mila euro) non contiene misure specifiche per combattere la povertà. E sul fronte della questione salariale, il governo dopo aver detto di no a qualsiasi ipotesi di «salario minimo», non è andato oltre la riconferma del taglio del cuneo: un passo obbligato, altrimenti le retribuzioni fino a 35mila euro lordi avrebbero perso 100 euro netti al mese.
Non contrastare con più efficacia la povertà significa minare il futuro, visto che l’Istat sottolinea come il 13,8% di chi oggi in Italia ha meno di 18 anni, ovvero 1,3 milioni di bambini e ragazzi, sia in povertà assoluta: il valore più elevato dal 2014. E anche non affrontare la questione salariale incide sulle prospettive dei giovani, perché a salari poveri corrisponderanno domani pensioni povere, tanto più nel sistema contributivo. Senza contare che, ci ha ricordato ancora l’Istat, abbiamo 3 milioni di lavoratori irregolari in un’economia sommersa che vale 200 miliardi di euro, il 10% del Pil. Se vogliamo un Paese migliore, non possiamo continuare a far finta di niente.