POLITICA
Fonte: La Stampa
Il premier: «Gli imprenditori devono poter licenziare». E pensa alla fiducia. Bersani: «Rischio smottamento a destra». La n.1 Cgil: «Battaglia lunga, ma possiamo vincere»
In attesa della direzione Pd, dove ci sarà la resa dei conti Sul Jobs act, Matteo Renzi va all’attacco: «Io – dice, intervistato da Fabio Fazio A Che Tempo che fa – non tratto con la minoranza del partito ma con i lavoratori». Il premier dice basta a una sinistra «opportunista e inchiodata al 25%», che fa dell’articolo 18 una «battaglia ideologica». Una sinistra che guarda al passato e che non si rende conto che «la memoria senza speranza è un museo delle cere».
Ed ecco quindi che il premier liquida una volta per tutte l’articolo 18 («gli imprenditori devono poter licenziare») e annuncia la cancellazione dei contratti precari, dai co.co.pro in poi. Non solo. Promette che ci saranno anche le risorse per i nuovi ammortizzatori sociali, le vere tutele che secondo lui servono al Paese e a combattere la disoccupazione: si tratta di 1,5 miliardi che saranno inseriti nella legge di Stabilità, un’operazione che in totale varrà 20 miliardi senza però «1 cent di tasse in più».
Le minoranze interne sono dunque avvisate, sarà battaglia. Ma anche il sindacato non viene risparmiato: «L’unica azienda al di sopra dei 15 dipendenti che non ha l’articolo sono loro – fa sapere il premier – che poi ci vengono a fare la lezione». I toni dunque non sono certo concilianti. Eppure le minoranze in queste ultime ore sono tornate a insistere sulla necessità di avere un dibattito aperto e soprattutto, con Pierluigi Bersani, hanno invitato il premier a evitare aut aut. Timori che però il premier liquida così: «A Bersani, a cui domani farò gli auguri perché è il suo compleanno, dico che la ditta è sempre la ditta anche se non guida lui».
Renzi sembra scomporsi poco anche per le critiche arrivate da D’Alema («non me lo perdo mai»), così come quelle giunte dai cosiddetti poteri forti, da quelli del mondo ecclesiastico a quelli imprenditoriali, a cui si sono aggiunte in questi giorni anche gli attacchi di un ex sostenitore come Diego Della Valle, che tra l’altro starebbe pensando di scendere nell’arena politica, e con cui Renzi si dice pronto a misurarsi senza timori. «Possono anche mandarmi a casa domani mattina – è la tesi – ma non pensino di telecomandarmi come una marionetta».
Così come dice di essere pronto a misurarsi in Parlamento sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale: «Bisogna fare veloci. Abbiamo un accordo – ricorda – e Forza Italia non deve continuare a girarci intorno».
LA RESA DEI CONTI IN DIREZIONE
La prima riforma che però attende il premier in Parlamento è proprio quella del mercato del lavoro. In direzione Renzi si troverà dunque a confrontarsi con una parte (il 20-30%) del partito che non ne condivide l’impostazione. C’è chi (come Francesco Boccia, Stefano Fassina, Pippo Civati e i cuperliani) infatti è anche pronto – secondo quanto viene raccontato – a presentare un documento in Direzione con il quale si chiede di allineare la discussione sulla Legge di Stabilità a quella sulla riforma del lavoro. Sarà la direzione, viene spiegato, a decidere se questo testo debba essere messo ai voti ma l’importante sarà la discussione che genererà: Renzi – è il ragionamento – dovrà ascoltare delle ragioni oggettive e scegliere fra un pezzo del partito o Ncd (che proprio oggi è tornato a tuonare, sostenendo come l’intesa raggiunta in Senato sia immodificabile e addirittura con Angelino Alfano non nascondendo di auspicare un decreto legge). Una battaglia, quelle delle minoranze, che però assicura Pier Luigi Bersani non ha come derivata «il pericolo scissione», evocato ieri da Civati. Ma «chi ha responsabilità di dirigere – insiste l’ex Segretario – deve cercare una sintesi». Nonostante posizioni così distanti c’è anche chi, come il presidente del partito e esponente dei Giovani Turchi Matteo Orfini, prova a far vedere una soluzione di mediazione a portata di mano: «Siamo d’accordo al 90%», rassicura. L’idea è di puntare sul rafforzamento dei licenziamenti cosiddetti discriminatori, sulla falsariga delle proposte di Rughetti e Chiamparino, allargando le tipologie che rientrano in questa casistica e per le quali è quindi previsto il reintegro sul posto di lavoro. Una opzione però già snobbata dalle minoranze nei giorni scorsi.
IL PRESSING DEI SINDACATI
Nessun canale di confronto è aperto tra i sindacati ed il premier che anzi – accusa la leader della Cgil, Susanna Camusso – sembra invece dialogare solo con Confindustria. È alto il pressing su Matteo Renzi ma con la consapevolezza della Cgil che la battaglia su Jobs act e articolo 18 sarà lunga e che non saranno né la decisione della direzione del Pd di domani né l’approvazione della legge delega a mettere la parola fine allo scontro. Possibilità di successo? «Credo che ne abbiamo, perché credo che il Paese ne abbia bisogno», dice Camusso.
I leader di Cgil, Cisl e Uil si vedranno domani mattina e, dopo la `fuga in avanti´ della Cgil (che sarà in piazza San Giovanni a Roma il 25 ottobre e preannuncia lo sciopero generale se ci sarà una accelerazione del Governo con un decreto), misureranno se ci sono margini per ricondurre le diverse posizioni ad una azione unitaria. «Non sarà facile», viene fatto notare da più parti. Resta molto cauta la Cisl, che vorrebbe ripartire dalla piattaforma lanciata prima dell’estate e cercare quindi una mediazione sull’articolo 18 nel quadro di un confronto più ampio: fisco, politica industriale, investimenti, precarietà. Cauta anche la Uil che attende una posizione chiara e definitiva del governo, e che domani pomeriggio terrà una riunione del suo esecutivo proprio mentre sarà in corso la direzione Pd.
L’ALT DELLA CAMUSSO
Intanto Susanna Camusso avverte: «C’è l’idea che nelle prossime 24 ore la direzione di un partito decide tutto ma noi siamo convinti che non è una battaglia dai tempi brevi». La leader Cgil puntualizza che se il governo ora dice che è possibile mantenere l’obbligo di reintegro per i licenziamenti discriminatori non è una apertura (perché è una tutela che «già c’è ed è inamovibile, è costituzionale») e che non ha senso parlare di abolizione dell’articolo 18 perché oggi tutela solo pochi («È come se uno dicesse: siccome gli omicidi sono diminuiti aboliamo il reato di omicidio»). Poi, ospite di Lucia Annunziata su RaiTre, la leader Cgil accenna al muro alzato da Renzi con i sindacati e lancia una stoccata contro il feeling che sembra invece esserci con gli industriali: la Cgil ha mai cercato un contatto diretto? C’è stata qualche telefonata «al centralino di Palazzo Chigi». Come è andata? «Ci sono sempre segretarie molto gentili che rispondono». Con Renzi porte chiuse per tutte le parti sociali? «Non credo sia così. Da Confindustria riceve documenti e ne recepisce i suggerimenti».
LANDINI: “LE RIFORME SI FANNO COL CONSENSO”
Appare oggi ben rinsaldato l’asse Cgil-Fiom: Maurizio Landini annuncia che anche i metalmeccanici sono pronti allo sciopero generale e anche lui – ospite dell’intervista di Maria Latella su SkyTg24 – sottolinea che non sarebbe una concessione quella di non toccare l’articolo 18 per i licenziamenti discriminatori («Ci sono già codice civile e Costituzione»); Ed a Matteo Renzi il leader Fiom dice: «Le riforme vere si fanno con il consenso», «Bisogna avere la pazienza del processo democratico, del confronto», «se uno pensa che per tutta l’Italia decide lui o all’interno di un partito deve sapere che così facendo parte lo sciopero generale», perché «non c’è un illuminato o un folgorato sulla via di Damasco che possa cambiare il Paese da sera a mattina». Per i sindacati il punto di ricaduta sull’articolo 18, ricorda ancora Landini, può essere quello di un contratto a tutele progressive che elimini le tutele solo per i primi anni. Quanti? Inutile entrare nel merito, «non c’è alcuna trattativa». Anche il leader della Uil, Luigi Angeletti, dall’Arena di RaiUno, avverte non ha senso dire che la riforma dell’articolo 18 serve a rendere le tutele uguali per tutti: se è così, dice, allora bisogna «non togliere niente a nessuno e dare a quelli che non hanno», perché «non è come la marmellata che si può spalmare».