22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Venanzio Postiglione

La questione settentrionale non è il giochino delle Regioni ricche: è lo specchio della ripresa o del declino del Paese


Le guglie del Duomo che si trasformano in Dolomiti. Come nel dipinto surreale (e profetico) di Dino Buzzati. Il logo di Milano-Cortina 2026 è sbarcato ieri a Tokyo, i mille delegati del Comitato olimpico hanno applaudito, i Giochi invernali di Lombardia e Veneto sono apparsi più vicini. Una scintilla di autonomia conquistata sul campo. Di fatto. Mentre la Torino dei 5 Stelle si è già sfilata e il governo resta a guardare. Ma è più di un episodio o di una coincidenza, si capisce subito. È il segno di una parte del Paese che simbolicamente (e praticamente) si stacca, si presenta in un consesso internazionale e si costruisce le Olimpiadi da sola. Presentando i progetti, immaginando le risorse. Senza il suo governo. Senza i suoi ministri o sottosegretari. Lombardia e Veneto «indipendenti»: per indifferenza.
Passano 24 ore, stesso filo. Oggi il consiglio comunale di Milano, è la prima volta, esce dalla città e si riunisce alla Villa Reale di Monza. L’obiettivo: prolungare la linea 5 del metrò, magari in tempo per i Giochi del 2026. A 62 anni dall’inaugurazione del primo tratto, che portò Milano (cioè l’Italia) in Europa. La novità è che la metropoli guidata da Beppe Sala e dal centrosinistra si allea con tre città governate dal centrodestra: Monza, Sesto e Cinisello. Un patto inedito, al di là delle distanze politiche. Con il silenzio e forse dissenso del governo, che per adesso non vuol metterci né il cappello né i fondi.
Ma nel giro di due giorni le Olimpiadi «fai da te» e il metrò «dal basso» segnano una svolta o l’inizio di una svolta: il Nord scomparso dall’agenda politica cerca un proprio spazio. Un percorso. Che va dalla piazza «sì Tav» di Torino fino agli impianti di Cortina, passando per la centralità (non solo geografica) di Milano.
Il referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto risale al 22 ottobre 2017, più di un anno fa. I cittadini hanno votato. Ma anche la democrazia diretta diventa una variabile indipendente: forse ha più valore sulle piattaforme digitali che nei seggi veri e propri, dove (addirittura) si va fisicamente con la faccia e il documento e si deposita una scheda. I governatori della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia (che ha seguito un’altra strada con gli stessi obiettivi) hanno appena scritto al governo per chiedere «tempi rapidi e certi». La risposta è arrivata: «È all’attenzione dell’esecutivo, stiamo ancora approfondendo e valutando». Il ritorno di Forlani sotto altre forme. Mentre Barbara Lezzi, ministra per il Sud, è stata esplicita, proprio ieri: «Il completamento dell’iter non comporterà un surplus fiscale trattenuto al Nord». Non solo e non basta. «Farò in modo di assicurare al Mezzogiorno le risorse di cui ha bisogno per colmare il gap con il Settentrione aumentato a dismisura negli ultimi 25 anni». Ma il gap si colma frenando il Nord o facendo crescere sia il Nord che il Sud? È un avvicinamento in discesa? Meno opere e niente riforme? Se le nuove regole chieste sopra il Po fossero l’anticamera della secessione, il ministro avrebbe ragione. Ma l’ampolla di Bossi sul Monviso appartiene a un’altra era geologica: qui si parla di autonomia e solo per alcune materie. E di un Nord che deve tornare in agenda per se stesso e per trainare tutto il Paese: non per imitare l’impasse politica della Catalogna. Così come il rapporto centro-periferia non può restare un eterno labirinto: le Regioni inascoltate, le Province morte ma sempre vive, le città metropolitane previste e mai nate.
È un tema incandescente. Per la Lega: perché Salvini vuole sbarcare in forze al Sud, ha in testa più Roma che Pontida, ma allo stesso tempo non può perdere i «suoi» governatori Fontana e Zaia e non può cancellare il contatto con gli imprenditori e con il partito del Pil. Ma anche per i 5 Stelle: Di Maio ha i serbatoi elettorali nel Mezzogiorno ma ha già deciso di ricucire, o tentare di ricucire, con un mondo che chiede il metrò e non il reddito di cittadinanza. Per non parlare del Pd: quando ripartirà dai progetti e chiuderà la corsa interna, forse in tempo per le Olimpiadi del 2026. Beppe Sala, la settimana scorsa, in uno scambio di ruoli che dice molto sui nostri tempi, ha rimproverato la Cgil e le ha chiesto di scendere in piazza: il sindaco-manager movimentista e il sindacato attendista. La questione settentrionale non è il giochino delle Regioni ricche: è lo specchio della ripresa o del declino di tutto il Paese. Non parlarne diventa già una scelta. Mentre a Roma si discute se affidare un po’ di terra a chi fa il terzo figlio, come se fossimo gli Amish dell’Ottocento, c’è una fetta d’Italia che vuole correre. O almeno camminare. Se possibile.

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