19 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Ettore Livini

Pochi e circoscritti i danni all’economia, le Borse si mostrano ciniche: il vero rischio è la fine dell’unione doganale, una variabile in grado di fare davvero male alla fragilissima ripresa europea

Nervi saldi in Borsa. Poche preoccupazioni (per ora) per l’economia. Guai in vista, ma solo per pochi mesi, per turismo e compagnie aeree. La tragica contabilità dei danni economici del terrorismo, causa la frequenza degli attentati, è diventata dalle Torri Gemelle in poi una scienza quasi esatta. E il blitz di Bruxelles, dicono tutti gli esperti, dovrebbe rispettare il copione già andato in onda dopo le bombe a Madrid del 2004, le esplosioni nella metro di Londra del 2005, gli spari di Charlie Hebdo e la strage dello scorso 13 novembre a Parigi. Danni limitati e un’unica grande incognita: la possibile accelerazione dell’addio a Schengen, la variabile in grado di fare davvero male alla fragilissima ripresa europea.
I danni per il Belgio. Vittime e danni materiali a parte, Bruxelles sa bene per esperienza che nei prossimi mesi pagherà un conto salato agli attacchi di ieri. I sei giorni di blocco della città imposti subito dopo il Bataclan lo scorso novembre hanno bruciato – dice la Confindustria locale – 350 milioni di euro, lo 0,1% del Pil. Nel week-end della strage sono state cancellate il 40% delle prenotazioni alberghiere. Dati simili a quelli registrati a Parigi dove ancor oggi le presenze negli hotel sono in calo del 27% rispetto allo scorso anno. Un ristorante su due in entrambe le città è rimasto chiuso a Capodanno. I turisti, nel dubbio, scelgono mete meno “calde” (geopoliticamente parlando) e i voli in partenza da Bruxelles erano a dicembre il 17% meno dello scorso anno.
Il cinismo delle Borse. Le piazze finanziarie non conoscono emozioni e ragionano solo con i numeri. E gli effetti degli attentati terroristici sulle Borse sono da sempre pochissimi. Wall Street ci ha messo solo 30 giorni per recuperare tutte le perdite seguite all’11 settembre. I titoli francesi sono addirittura saliti dell’1,8% dopo Charlie Hebdo. Lo stesso è successo il 16 novembre alla riapertura del mercato di Parigi dopo la strage del fine settimana: l’indice è crollato in apertura ma alla campanella finale perdeva “solo” lo 0,1%.
Pochi danni sul Pil. La spiegazione – dicono gli analisti – è semplice: il terrorismo “spot”, al di là dei danni locali e delle ripercussioni a breve termine – non fa troppi danni all’economia. Certo, gli shock come le bombe “non aiutano a consolidare la fragile ripresa della Ue”, come ha ammesso il capo-economista della Bce Peter Praet lo scorso novembre. Ma la storia dice che lasciano poche tracce: le Torri Gemelle hanno frenato gli Usa nel terzo trimestre 2001 (-1,1%) ma a novembre la locomotiva Usa era già ripartita. Il Pil di Madrid è salito dello 0,6% nel trimestre della tragedia alla stazione di Atocha e lo stesso è successo in Gran Bretagna nel 2005. Il terrorismo fa male davvero solo quando è una minaccia costante negli anni: nell’era delle bombe dell’Eta, le regioni basche hanno sottoperformato del 10% il resto del paese mentre gli anni dell’Intifada sono costati a Israele l’8,6% del Pil.
I costi immateriali. Il vero costo del terrorismo, misurato in miliardi, sono i suoi danni collaterali e i suoi effetti politici. Il New York Times, ad esempio, ha quantificato in 3.300 miliardi di dollari quelli legati alle Twin Towers. Il costo fisico degli edifici abbattuti (55 miliardi) della pulizia del sito (22), i 100 miliardi persi in turismo e viaggi aerei e gli altri 100 bruciati solo per le attese ai controlli in aeroporto sono solo briciole. Il grosso dell’impatto economico è dato dagli 1,6 miliardi pagati per le guerre in Iraq e Afghanistan, i 460 per rafforzare la sicurezza interna, i 110 per i servizi segreti. L’Europa, dopo Bruxelles, sa bene cosa rischia su questo fronte: un corto circuito emotivo – dettato anche da convenienze elettorali a breve termine – che porti a un’accelerazione dell’addio a Schengen per proteggere le frontiere. Il pedaggio, ha calcolato l’autorevole think-tank francese France Strategie, sarebbe salatissimo: lo 0,8% del pil europeo, pari a 100 miliardi l’anno. Per l’Italia il conto sarebbe di 13 miliardi.

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