Molti ritengono che il governo abbia messo in conto una battaglia feroce, ma la presenza di ostaggi israeliani potrebbe rappresentare un ostacolo
Molte sfide attendono in Israele nelle prossime ore e giorni. Tutte complicate.
Il controllo
Le forze di sicurezza devono riprendere il controllo nel sud. Dopo 24 ore alcuni siti erano ancora a rischio e c’è l’allarme – specifico – su cellule “lasciate dietro” per azioni ritardate. La bonifica richiederà tempo e mezzi, molti di più di quelli che erano a presidio del settore sud. Grave colpa dello Stato Maggiore, resa più acuta dall’assalto al comando regionale di Reim. E incombe sempre lo spettro del contagio, con una rivolta in Cisgiordania o persino nelle comunità arabo-israeliane. L’ordine di sgombero per una ventina di località israeliane nella zona adiacente a Gaza è il segnale evidente dei preparativi per operazioni massicce dopo l’approvazione dello stato di guerra.
Gli ostaggi
Donne, bambini, militari trasformati in scudi umani e pedine di baratto. Lo Shin Bet dovrà spremere le sue fonti per capire dove sono, possibile che siano stati divisi. Con un ulteriore ginepraio in quanto sarebbero in mano a tre fazioni differenti: Hamas, Jihad e Brigate al Aqsa (Fatah). Hamas ha una lunga esperienza nella gestione di ostaggi, ne ha ricavati grandi risultati ottenendo in cambio il rilascio di suoi membri. La differenza però sta nei numeri: i prigionieri sono dozzine. Insieme ai vivi ci sono anche le salme di israeliani uccisi, anche loro hanno un prezzo e Gerusalemme in passato non ha esitato a pagarlo per riavere i resti. C’è poi l’effetto propagandistico. I carcerieri useranno i prigionieri per fare pressioni, magari faranno leggere loro dei messaggi con richieste e appelli. Un ricatto prolungato.
La risposta
La presenza di ostaggi rappresenta un ostacolo in più per un’eventuale invasione della Striscia. Entrare a Gaza è una missione ardua, infatti in occasione di altre crisi l’esercito è stato molto cauto per timore di perdite preferendo affidarsi a raid mirati contro i “quadri” dei gruppi armati. Molti osservatori ritengono però che il governo abbia intenzione di andare oltre mettendo in conto una battaglia feroce. Da anni, sotto la guida di Mohammed Deif, capo militare di Hamas, sono stati costruiti bunker, postazioni nascoste, piazzole mimetizzate per lanciare razzi e droni-kamikaze. È vero che la zona è ristretta, agevole da monitorare con l’aviazione ma questo vantaggio sfuma se devi avanzare con fanteria e corazzati: i punti di accesso sono definiti, facile ipotizzare la presenza di mine e trappole in quanto le Brigate Ezzedine al Qassam hanno messo in conto l’operazione terrestre del nemico. Certo, il potenziale che può scatenare Gerusalemme è infinitamente superiore, però comporta un bagno di sangue oltre a quello – spaventoso – di queste due prime giornate.
L’analisi
Spionaggio e Difesa – insieme al governo – devono capire come sia stata possibile la Sorpresa d’Ottobre. Secondo fonti ufficiose Hamas ha impiegato quasi mille uomini in un’azione multipla e simultanea. C’è chi mette sotto accusa l’eccessivo ricorso alla sorveglianza elettronica – Sigint – con intercettazioni, controlli dall’alto, apparati a tutela del confine. Israele ha un’unità specializzata in questo tipo di attività (Unit 8200) ma i suoi nemici non sono stati da meno. Una ricostruzione sostiene che i palestinesi avrebbero “disturbato” – sempre elettronicamente – i sistemi, forse anche le comunicazioni radio. Gli alleati di Hamas – Hezbollah e Iran – hanno sviluppato le loro tattiche in questo settore, forse hanno passato la tecnologia. Un video ha mostrato un paio di torri con telecamere distrutte dai droni. Ma sarebbe riduttivo dare la colpa alle “macchine”. Lo Shin Bet – servizi interni – e l’esercito hanno uno stuolo di informatori nell’altro campo, occhi e orecchie, essere umani, collaborazionisti, persone che vivono in mezzo ai guerriglieri. Cinque agenti sono morti nelle fasi più drammatiche dell’incursione, testimonianza di un ruolo “avanzato”. Indiscrezioni sui media parlano dell’esistenza di avvertimenti sui rischi di una deflagrazione – ma questa è una condizione cronica nel quadrante – mentre non c’erano indicazioni specifiche.
Fronte nord
È la grande incognita: l’Hezbollah entrerà nella mischia aprendo il fronte settentrionale? Diverse le ipotesi. La prima. Si accontenta di schermaglie e minacce, di gesti limitati – come quello di domenica alle Sheba Farms – per tenere impegnata Gerusalemme senza rischiare un’escalation. La seconda. Partecipa all’aggressione in solidarietà con i “fratelli” palestinesi e in coordinamento con Teheran. La terza. Il movimento è attore importante in Libano ma non l’unico e deve tenerne conto. È consapevole che un suo intervento diretto provocherebbe danni immensi sul paese. Lo ha fatto una volta e la sua leadership se ne è pentita. Questa nuova tragica pagina mediorientale ha però insegnato come sia pericoloso affidarsi solo all’esperienza del passato. Oggi le variabili sono infinite. Compresa quella di attacchi terroristici in altri paesi in supporto alla lotta di Hamas, attentati pianificati o colpi di lupi solitari. L’uccisione di due turisti israeliani in Egitto da parte di una guardia è segnale allarmante. Da seguire il ruolo del Qatar: ha grande influenza nel mondo musulmano, è faro della Fratellanza, ha stanziato milioni su milioni per dare ossigeno a Gaza e dunque dispone di leve per “muovere”.