24 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Franco Venturini

L’Italia di oggi, o l’Europa di oggi, non possono fare a meno del legame transatlantico con gli Stati Uniti. Ma in futuro vorremmo fare a meno di ricevere visite come quella del ministro Barr che tanti interrogativi ha sollevato


Speravamo che il lungo viaggio in Italia del segretario di Stato Mike Pompeo servisse a rilanciare i nostri rapporti con Washington, dopo le molte ambiguità che il governo gialloverde aveva seminato sui rapporti con Mosca. Invece siamo stati improvvisamente risucchiati nei vortici della politica interna statunitense, nella rabbia del presidente Trump contro chi lo vuole cacciare dalla Casa Bianca, nelle lacerazioni istituzionali che ormai da tempo tormentano la lunga marcia verso le elezioni americane del novembre 2020. Apprendiamo dal New York Times che il ministro della Giustizia statunitense William Barr è stato la scorsa settimana in Italia e ha chiesto ai nostri servizi di aiutare gli Usa a raccogliere elementi sul «Russiagate» (le interferenze di Mosca nelle presidenziali vinte da Trump nel 2016), per screditare l’indagine condotta dal procuratore Mueller. Basta questa estrema sintesi a sollevare interrogativi che fatalmente pesano e peseranno sulla visita cominciata ieri da Pompeo incontrando il presidente Mattarella e il premier Conte. Il viaggio di Barr in Italia, che secondo il New York Times non è stato il primo, doveva essere tenuto segreto? Se no, perché a darcene notizia sono giornali statunitensi? E i nostri servizi, che con Barr hanno parlato, hanno poi adeguatamente informato il Presidente del Consiglio che per i servizi ha la delega, e che era stato preventivamente messo al corrente dell’appuntamento?
Soprattutto, cosa ha risposto l’Italia, si è schierata nelle vicende interne americane a favore del Presidente oppure è stata più cauta, ammesso e non concesso che della vicenda russo-statunitense in questione i nostri servizi abbiano una particolare conoscenza? E ancora, quale significato assume il viaggio di Pompeo (gli altri Stati visitati, oltre al Vaticano, sono Macedonia, Montenegro e Grecia) pochi giorni dopo quello di Barr? Il Segretario di Stato vuole soprattutto vedere il Papa, scambiare aiutini di intelligence contro il rinvio delle sanzioni anti-europee, oppure, più probabilmente, capire quali intenzioni abbia l’Italia sulla Cina, sul G-5, sulla Russia, insomma quale politica estera intende fare il nuovo governo?
Interrogativi che dovranno trovare risposte, ruoli che dovranno essere chiariti, e dubbi che tornano ad emergere come nel recente passato, quando la politica estera italiana amava seguire i movimenti di un’altalena provocando sorpresa e rabbia negli interlocutori alleati come in quelli soltanto amici. Anche nella Farnesina affidata a Di Maio e nella Presidenza del Consiglio che non ha cambiato inquilino un chiarimento è urgente se l’Italia non vuole scoprirsi ancor più emarginata di quanto sia già, mentre l’Europa vive una transizione decisiva, la «morsa» geopolitica e tecnologica formata da Usa e Cina lascia poco spazio e poco tempo a chi voglia mantenere un minimo di sovranità, e Donald Trump, che alla sua «America First» sembra aver sostituito un poderoso «Election First», ha il grande problema di non aver ancora conseguito quel grande successo in politica estera che aveva promesso cinque anni fa.
Per questo Trump ha fretta, per questo negli Usa politica estera e interna si sovrappongono in una rincorsa continua, e nasce così anche la telefonata del luglio scorso al presidente ucraino Zelensky («Fammi un favore…») che ora vale al Presidente un tentativo di impeachment. Sarebbe una grande sorpresa se la mossa democratica riuscisse. Ma il metodo della Casa Bianca è diventato più chiaro, e di certo non aiuterà a superare la crisi ucraina (undicimila morti dal 2014). Ricordate poi l’incontro a porte chiuse con Putin, in Finlandia lo scorso anno? Appena rientrato a casa Trump dovette smentire di aver parlato malissimo, con Putin, dei servizi di sicurezza statunitensi. E ancora, due vertici con il nord-coreano Kim Jong-un, e due fallimenti. Forse è stata tutta colpa del licenziato Bolton, e da sabato prossimo ricominciano i contatti, altro vertice per riprovarci? Bolton viene ritenuto responsabile anche del Venezuela, dove Maduro continua a governare un Paese ridotto alla fame ma i militari non si ribellano. In Medio Oriente il ridimensionamento elettorale di Netanyahu è stato un duro colpo anche per il piano di pace che Trump continua ad annunciare senza che nulla accada. Con la Cina il braccio di ferro non ha spiragli, e questo era prevedibile. Ma è sull’accordo di pace in Afghanistan che Trump ha dato il massimo. L’intesa era già stata annunciata, ma le proteste giungevano da ogni parte: dai militari, dal governo alleato di Kabul, dalle organizzazioni femminili. Il Presidente voleva sì ritirare i suoi uomini, ma non poteva far finta di niente. Nacque così, per sua volontà, l’invito dei Talebani e dei governanti di Kabul a Camp David, dove il Presidente avrebbe sicuramente superato le ultime perplessità e l’accordo avrebbe potuto essere annunciato al mondo. Ma a Camp David le parti rifiutarono di andare, e così Trump lanciò una nuova offensiva militare.
Trump conserva buone probabilità di essere rieletto. E l’Italia di oggi, o l’Europa di oggi, non possono fare a meno del legame transatlantico con gli Stati Uniti. Benvenuto Mike Pompeo, dunque. Anche dovesse confermare i dazi sui nostri prodotti agroalimentari. Ma in futuro, cari amici americani, vorremmo far a meno di ricevere visite come quella del ministro Barr. Qualunque successo Trump debba ancora trovare. E vorremmo, ancora di più, poter dire che l’Italia, fedele alleata degli Stati Uniti, ha una sua politica estera. Leale e priva di sudditanze oscure.

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