La mediazione sul testo con il riferimento agli «ostaggi» da liberare
I presupposti per l’ennesima messa in scena delle divisioni tra i partiti dell’ opposizione c’erano tutti: hanno presentato cinque, dicasi cinque, mozioni, una per ogni forza politica di quello schieramento. Ma non è andata così. Verso l’ora di pranzo Elly Schlein compone al cellulare il numero di Giorgia Meloni. La premier risponde subito: ha in agenda quella telefonata e ha deciso la linea. «Ciao presidente, come va? Volevo dirti che oggi, in aula, chiederò al governo di sostenere il cessate il fuoco che abbiamo scritto nero su bianco nella nostra mozione», è l’esordio della segretaria pd.
Schlein poi continua così: «Io penso che il governo sia fermo e invece è il momento che l’Italia prenda un’iniziativa diplomatica e politica in seno all’Europa molto più efficace». «Guarda, ti posso assicurare che il governo non è immobile. Ci stiamo muovendo anche noi, ovviamente con la dovuta cautela e con riservatezza. Hai sentito quelo che ha detto Tajani?», è la replica di Meloni.«Si, l’ho sentito e l’ho apprezzato».
La conversazione tra le due si svolge in due tempi. Poco prima delle due del pomeriggio c’è una seconda telefonata. Tra i due colloqui c’è il tempo per mediare. Schlein con il suo partito. Meloni con la maggioranza. Infatti la premier chiede alla segretaria pd: «Ma voi potreste riformulare il primo punto della vostra mozione, quello sul “cessate il fuoco” mettendo prima, come presupposto per lo stop alle armi, la liberazione degli ostaggi? E potete modificare pure il quarto punto? Quello sul riconoscimento dello Stato della Palestina da parte dell’Ue?».
Sul primo punto si può trattare. Sul quarto Schlein è inflessibile: «Quello è un nostro obiettivo irrinunciabile». Ma la trattativa comunque non è semplice. La leader dem non vuole il «cessate il fuoco» come conseguenza della liberazione degli ostaggi. La riformulazione infatti non lo prevede: si limita a cambiare l’ordine delle richieste, senza legarle tra di loro. «Credo che su questo un’astensione sia possibile», le dice Meloni. Schlein è soddisfatta. Spiega più tardi ai suoi: «Non ero certa di arrivare al risultato quando l’ho chiamata. Però dovevo fare questo tentativo. E ora abbiamo fatto un importante passo avanti. A me non interessava guadagnare un punticino con la premier. Né, del resto, volevo fare questa mozione per tenere unito il Pd, che pure è un lavoro, ma per provare a produrre un avanzamento della posizione italiana. È stata premiata non solo la nostra iniziativa ma anche la nostra pazienza».
Comunque il Pd, Schlein, è riuscita a tenerlo unito. Nell’assemblea del gruppo che precede il voto, la riformulazione viene giudicata «accettabile». Il dibattito si accende soltanto quando si decide di non votare la mozione dei rossoverdi lì dove chiede di «supportare le richieste del Sudafrica» e di adottare misure punitive contro Israele. Laura Boldrini non è d’accordo. Gianni Cuperlo nemmeno. L’ala sinistra del Pd rumoreggia. Nicola Stumpo voterebbe il testo di Avs, ma richiama gli ultrà pacifisti al senso di responsabilità: «Se si raggiunge una mediazione interna poi non si va a dichiarare o votare per conto proprio».
Ma a parte questo, tra i dem regna la pace. «Grazie all’unità del Pd l’asse del governo si è spostato», esulta Stefano Graziano.
Chi è in ebollizione, invece, è Conte. Il leader del M5S è costretto ad accodarsi a Schlein (la segretaria, a dire il vero, non ne era tanto sicura, però era pronta a rischiare che l’ex premier scartasse). Così Conte vota il frutto della mediazione tra le leader dem e la premier e la cosa non gli va giù. Ci tiene a distinguersi. Lo ha fatto sul ponte sullo Stretto, non partecipando alla conferenza con la segretaria pd, Fratoianni e Bonelli: «Noi portiamo avanti la nostra battaglia in un altro modo». Lo fa polemizzando con i dem sulla Rai. Ma i riflettori in questa giornata non sono per lui. Sono per Schlein.