19 Settembre 2024
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Procura nazionale antimafia e forze dell’ordine al lavoro per limitare i rischi della normativa sull’ergastolo ostativo

Venuta meno la norma del carcere ostativo, magistratura e forze dell’ordine stanno cercando di correre ai ripari. Il rischio, infatti, è l’accesso indiscriminato ai benefici del sistema penitenziario. I mafiosi, in particolare, potranno chiedere permessi di uscita e ogni altra concessione prevista dalle norme. L’allarme è emerso in una recente riunione al Viminale. C’è già la stima dei potenziali beneficiari: 5mila soggetti, la maggior parte detenuti di criminalità organizzata. Procura nazionale antimafia e forze dell’ordine stanno lavorando a un modello operativo per frenare uscite insidiose se non pericolose.

L’allarme permanente
Tutti i carcerati ora possono chiedere di accedere ai benefici. Compresi, dunque, quelli appartenti a Cosa Nostra & C. non pentiti né dissociati. Così all’inizio della settimana scorsa al ministero dell’Interno si sono riuniti presso gli uffici del dipartimento P.s. il capo della Polizia, Lamberto Giannini; il procuratore antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo; il numero uno del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) Carlo Renoldi; i capi di stato maggiore dell’Arma dei Carabinieri, Mario Cinque, e della Guardia di Finanza, Francesco Greco. Più altri vertici delle forze dell’ordine e della magistratura. Dalla fine di ottobre, è emerso, sono state già presentate una settantina di richieste di benefici. Il pericolo è incombente e in aumento continuo.

Il nuovo sistema
L’obiettivo all’esame dei ministeri dell’Interno e della Giustizia, guidati da Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, così come della Procura nazionale e le procure distrettuali, è evitare a tutti i costi scarcerazioni foriere di nuove attività illecite, soprattutto di criminalità organizzata. La decisione sulle richieste di benefici spetta ai tribunali di sorveglianza. Procura nazionale e distrettuali devono dare un parere. Quelle di Napoli, L’Aquila, Catania e Reggio Calabria stanno già valutando con Melillo una procedura standardizzata e uniforme. Ma soprattutto concreta e incisiva: un parere solo formale, per giunta basato su informazioni datate, potrebbe essere esiziale. Il procuratore nazionale lo ha sottolineato con forza.

I molti nodi da risolvere
I tribunali di sorveglianza possono disporre accertamenti sul tenore di vita del detenuto e dei soggetti collegati. Così come sul pericolo concreto, una volta in libertà anche solo di qualche giorno, di riallaccio dei legami con il circuito mafioso. La procura nazionale sta già studiando con la Guardia di Finanza una piattaforma sugli accertamenti patrimoniali. Presso il dipartimento di Pubblica sicurezza partirà a breve un gruppo di lavoro con gli alti dirigenti dei reparti operativi di Polizia di Stato, Carabinieri e Gdf, per definire un modello omogeneo d’azione. Veloce ma soprattutto efficace per attingere il maggior numero di informazioni attuali e significative su chi ha richiesto il beneficio carcerario. Così da scongiurare una scarcerazione indebita ma soprattutto rischiosa.

L’ipotesi di nuove indagini
I tribunali di sorveglianza, in ogni caso, sono autorità giudiziarie autonome. Né hanno un cooordinamento centrale. Il timore di procedure non uniformi, dunque, è reale. Sul tavolo ci sono i dati forniti alla riunione dal capo del Dap: 1.200 detenuti con ergastolo ostativo, 10mila in carcere con reati di alta pericolosità, circa 900 carcerati con richiesta di permesso già presentata e, in particolare, più di 600 che non l’avevano mai chiesto prima. Il livello di minaccia, dunque, è molto alto. Così è sorta l’ipotesi che la Procura nazionale, coordinandosi con le distrettuali, si avvalgano del potere di dare una delega di polizia giudiziaria agli organismi centrali antimafia delle forze di polizia (Sco-servizio centrale operativo, Polizia di Stato; Ros-raggruppamento operativo speciale, Arma dei Carabinieri; Scico-servizio centrale investigazione criminalità organizzata, Guardia di Finanza; Dia-direzione investigativa antimafia). Per svolgere ogni possibile accertamento sui soggetti coinvolti dal parere e richiedenti beneficio. Coordinandosi, a loro volta, con gli organismi territoriali e le stesse procure distrettuali per non recare pregiudizi alle indagini in corso. Una trama tutta da tessere.

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