22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Lucrezia Liechlin

Mentre ci si prepara a sostenere l’economia con nuovi strumenti nazionali e ad emettere nuovo debito, dobbiamo stare attenti a non fare errori sulla strategia europea. Questo comporta chiari programmi per il Recovery Fund e un piano per la sanità da finanziare subito con il Mes


È arrivata la seconda ondata. In questo nuovo contesto sarà inevitabile e giusto — il ministro Gualtieri lo ha già annunciato — rafforzare le misure di sostegno a famiglie e imprese. Dobbiamo però essere consapevoli che i numeri su cui si basa la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza non sono più realistici. Con ogni probabilità il 2020 si chiuderà con una crescita del prodotto interno lordo al di sotto del -10% con conseguenze su deficit e debito. Vero, Standard & Poor’s ha appena confermato il rating sovrano dell’Italia a BBB e migliorato l’outlook da negativo a stabile, ma questa valutazione si basa sulla aspettativa che l’Europa — nella coesione ritrovata la scorsa primavera — garantisca per noi. Se nel 2012 fu Draghi a rassicurare mercati e agenzie di rating con la promessa di un intervento della Banca centrale europea, oggi è l’Europa tutta: non solo la Bce ma anche la Commissione e il Consiglio. Un coordinamento di fatto — anche se non formalizzato –—tra politica monetaria e politica fiscale. Il rapporto con l’Europa quindi rimane centrale in qualsiasi strategia di risposta al virus. Come si muoverà oggi il governo alla luce dei nuovi fatti?
L’impianto delle politiche finora condotte si è basato su queste idee: intervento immediato con strumenti nazionali, finanziato a debito ma con tassi favorevoli garantiti dall’intervento della Bce e l’aiuto europeo attraverso il prestito agevolato Sure per la disoccupazione; messa in cantiere di proposte strutturali, di medio-lungo periodo, da attuare a partire dal 2021 e da finanziare con lo strumento del Recovery Fund; rinuncia al Mes. Chi questa rinuncia l’ha sostenuta, accantonate le sciocchezze che si sono sentite da più parti, ha potuto farlo grazie alla convinzione che qualsiasi cosa accada all’Italia, la Bce ci garantirà tassi di rifinanziamento molto bassi.

Se questa era già una posizione azzardata prima della seconda ondata, ora lo diventa ancora di più. La ragione – e di questo si è discusso poco – è che il compromesso che si è trovato in Europa – e su cui la strategia di governo fa affidamento – si basa su un delicato gioco delle parti.
La Bce ha trovato il consenso per intervenire in modo tempestivo e con acquisti di titoli pubblici sbilanciati a favore dell’Italia perché le autorità di bilancio, sia federali che nazionali, hanno accettato la linea che la risposta al Covid dovesse essere coordinata e solidale. Se il famoso «whatever it takes» di Draghi nel 2012 fu possibile in quanto legittimato da un accordo tra Germania e Francia per salvare l’euro e intraprendere una serie di riforme del suo governo economico, oggi siamo testimoni di qualcosa di simile. I margini di flessibilità di Christine Lagarde dipendono dal grado di consenso politico alla condivisione del rischio all’interno dell’Unione.
In generale, una banca centrale, nonostante la sua grande potenza di fuoco, non ha legittimità ad intervenire in modo illimitato senza il sostegno dell’autorità di bilancio che a sua volta si poggia su una decisione politica. E quando gli investitori percepiscono che il sostegno manca, la politica monetaria perde di credibilità e quindi di efficacia. Basta ricordare gli acquisti di titoli effettuati dalla Bce nel 2010 e 2011 con il Security Market Programme. In quella circostanza, nonostante operazioni per più di 200 miliardi, la crisi non fu domata perché l’intervento Bce fu accompagnato da accesi contrasti politici.
Ma se è così, la posizione dell’Italia riguardo al Mes o quella della Spagna che dice di non volere attingere ai prestiti del Recovery Fund è molto pericolosa. Il pacchetto europeo prevede una molteplicità di strumenti e su questo si basa l’accordo politico.
Stupisce quindi la tranquillità del ministro Gualtieri, che l’Europa la conosce bene, quando spiega che il Mes non è necessario perché ci fa risparmiare solo 300 milioni all’anno. La differenza tra tassi di mercato e tassi del Mes dipende dalla coerenza del pacchetto monetario e fiscale e dalla capacità dei Paesi più a rischio, come l’Italia, di recepirlo e agire di conseguenza.
Questo ragionamento, se era valido prima della seconda ondata, è ancora più valido oggi. È cruciale per l’Italia – e non solo – che la coesione europea tenga per evitare l’instabilità vissuta nella precedente crisi. Per questo, pensare che il rubinetto Bce sia incondizionato è pericoloso.
Inoltre va sfatata un’altra illusione. I prestiti, certo, andranno restituiti nel tempo ma anche gli interventi della Bce non sono gratis. Permettono oggi di espandere il debito pubblico senza impennate sui tassi così da poter prendere tempo, ma non prevedono un aumento permanente del debito finanziato con emissione di moneta. In sede accademica si discute se questo è ciò che la Bce dovrebbe fare, ma per il momento è improbabile che avvenga e, in ogni caso, sarebbe pericoloso per la stabilità politica dell’Unione se la Bce lo facesse unilateralmente. Aggiungo che anche i sussidi non sono gratis e andranno finanziati con tasse europee in modo ancora da definire.
In conclusione, mentre ci si prepara a sostenere l’economia con nuovi strumenti nazionali e ad emettere nuovo debito, dobbiamo stare attenti a non fare errori sulla strategia europea. Questo comporta chiari programmi per il Recovery Fund e un piano per la sanità da finanziare subito con il Mes. La buona notizia è che il piano, il ministro Speranza – perlomeno stando alle informazioni pubblicate venerdì da questo giornale – ce l’ha. La cattiva è che ci siamo avvitati in un dibattito «nonsense», incomprensibile fuori del palazzo, che dà munizioni a chi in Europa vuol fare saltare l’accordo storico così faticosamente costruito.

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