24 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Franco Venturini

Pensare di ridiscutere i trattati europei, come dicono Salvini e Di Maio, è un sogno non realizzabile. Gli interessi nazionali non si difendono con le crociate


L’enfasi posta da Luigi Di Maio e da Matteo Salvini sulla difesa degli interessi nazionali italiani, cui finalmente provvederà il nuovo governo, non è soltanto una implicita offesa ai governi precedenti che di questi interessi non si sarebbero troppo occupati. È, anche e soprattutto, la prova di una errata valutazione storica delle scelte compiute dall’Italia democratica dopo la seconda guerra mondiale, e della loro persistente utilità in un mondo che sembra talvolta rimpiangere le certezze del Muro di Berlino.
Può darsi, anzi è probabile, che il «Fattore M» (mondo, appunto) interessi poco gli elettori della Lega e di 5Stelle. Ma il provincialismo della base, particolarmente accentuato in una cultura italiana da sempre ben disposta verso la propaganda, dovrebbe trovare maggiore consapevolezza quando i candidati vengono eletti e diventano decisori. Rispondono a questo auspicio, il programma e la struttura funzionale del prossimo governo? Il meno che si possa dire, in attesa della prova dei fatti, è che i motivi di preoccupazione sono molteplici.
Cominciamo dall’Europa, come è giusto che sia. Nell’ultima versione del «contratto» programmatico sottoscritto da Di Maio e Salvini alcuni temerari salti nel vuoto sono spariti, ma altri resistono. Va bene chiedere alla Commissione di Bruxelles lo scorporo degli investimenti pubblici produttivi dal deficit corrente di bilancio (peraltro sarà difficile ottenerlo), ma quando si pensa di «ridiscutere i Trattati dell’Ue» con la chiara intenzione di smontare il rigore di ispirazione tedesca, si scivola nel mondo dei sogni. Peggio, non ci si rende conto dell’effetto anti-italiano che la lunga trattativa per il governo e l’enunciazione di propositi forse popolari ma del tutto irrealistici sta già provocando.
Il nemico è il rigore, e si dimentica che abbiamo un debito pubblico a livello record? Ebbene il risultato, ancor prima che la partita cominci, è che in Germania e in Europa del nord eventuali concessioni di flessibilità all’Italia vengono escluse più che mai. È che la trattativa mai completata sull’unione bancaria (Merkel intendeva comunque tenerla in frigorifero, è vero) ora viene più facilmente archiviata o rinviata a causa della «situazione in Italia». È insomma che si disegna sin d’ora l’isolamento dell’Italia nella Ue, proprio quando la discussione sul nuovo bilancio comunitario e il confronto franco-tedesco sulla riforma dell’eurozona ci offrivano l’occasione di salire in tolda, di dire la nostra opinione ed eventualmente di opporsi a quella altrui. In Europa gli interessi nazionali italiani si difendono prendendo iniziative, negoziando alleanze, provocando dibattiti su aspetti cruciali, non annunciando una crociata che si vuole correttiva senza averne i mezzi e senza conoscerne i risvolti (non è forse vero che per «ridiscutere i Trattati» ci vorrebbero diversi anni nel migliore dei casi? ). La nostra piccola «Italy First», se si andrà avanti di questo passo, rischia di diventare una grande «Italy Out» (nel senso dell’isolamento, che ha sempre pesanti conseguenze economiche e finanziarie).
Invece di imitare Trump dimenticando che non siamo l’America (e peraltro Trump ha provocato non pochi problemi, suoi e nostri) sarebbe stato interessante capire quali siano le intenzioni di Salvini e di Di Maio sulla missione militare in Afghanistan (Di Maio aveva ripetutamente annunciato il ritiro unilaterale, ma da qualche tempo tace), oppure su quella per ora sospesa in Niger (da recuperare con l’appoggio di Francia, Usa e Germania che hanno interesse ad averci lì, mentre noi abbiamo interesse a controllare le correnti migratorie). Sarebbe stato interessante leggere una sola parola sulla Libia, in cattive acque e cruciale per i nostri interessi nazionali. Oppure sul Medio Oriente e sull’Iran, sul patto nucleare con Teheran, sull’Ucraina, sulla Turchia, sui Balcani, sulla cyber sicurezza. Pazienza, aspetteremo.
Ma di una cosa il «contratto» parla chiaramente: l’appartenenza alla Nato è confermata, gli Stati Uniti sono il nostro alleato privilegiato. Con una piccola aggiunta: è opportuno il ritiro delle sanzioni contro la Russia decise dopo l’annessione della Crimea nel 2014, e il Cremlino deve essere riabilitato come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali. E ancora, la Russia non costituisce una minaccia militare, è anzi un potenziale partner per la Nato e per l’Ue. Chi scrive considera inefficaci le sanzioni contro Mosca, vorrebbe uno sblocco negoziato della crisi ucraina, e da europeo preferisce la Russia partner alla Russia nemica in una nuova guerra fredda. Ma Salvini e Di Maio sanno che i tempi odierni sono assai diversi da quelli di Pratica di Mare, che peraltro fu Berlusconi ad interpretare? Sanno che queste loro posizioni, se trasformate in politica, comporterebbero uno scontro con l’America e aspri contrasti all’interno della Nato? Sanno che il vertice europeo di fine giugno, oltre a discutere di migrazioni e di riforme dell’eurozona, prevede il rinnovo per altri sei mesi delle sanzioni alla Russia? E che a luglio ci sarà un vertice Nato, tra l’altro con una richiesta ultimativa di aumento delle spese militari? E che dal primo giugno potrebbero (forse) scattare i dazi commerciali americani?
Tanti silenzi e tanti interrogativi pongono, in realtà, un problema determinante: quanta capacità decisionale avrà il Presidente del Consiglio? E quanta autonomia avrà il ministro degli Esteri? La nomina di Giampiero Massolo alla Farnesina sarebbe tale da offrire risposte rassicuranti ai nostri dubbi, ma i ministri, e prima di loro il Premier, non possono essere semplici «esecutori» dei capi dei partiti che formano la maggioranza parlamentare. Il «Fattore M» pesa già sul domani dell’Italia. L’interesse nazionale, quello vero, è che non debba entrare in azione, e sancire un fallimento che non auspichiamo.

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