10 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Ian Bremmer

Molti davano per scontato che i progressi delle tecnologie di comunicazione avrebbero impedito agli autocrati di restare al potere. Non sta andando così


Trent’anni fa, un’audace protesta popolare nella piazza principale di Pechino mise gli autocrati cinesi con le spalle al muro, e dopo l’implosione dell’Unione Sovietica il più spietato critico del partito al potere diventò presidente della Russia e protagonista della sua scena politica. L’America in ascesa non aveva seri rivali. In Europa, l’Ovest aprì le porte all’Est. L’impressione era che tra i Paesi più avanzati del mondo non ci fosse più molto su cui litigare. La fine di un secolo di conflitti sembrò sancire il trionfo della democrazia.
La Storia aveva altri piani. Oggi, la maggior parte delle democrazie liberali è polarizzata come non si vedeva da decenni, e gli elettori statunitensi, britannici, francesi, italiani, messicani, pachistani e brasiliani rifiutano le forze politiche tradizionali a favore di un agognato grande cambiamento. Le basi comuni tra partiti politici in questi e altri Paesi stanno scomparendo. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Freedom House, la fiducia popolare nei governi è ai minimi storici.
Nell’America di Donald Trump le divisioni sono più aspre che mai. Il sogno europeo di convergenza e unione sempre più stretta fa i conti con dure sfide dall’interno dell’Ue, in particolare da Italia, Polonia e Ungheria. Nella Cina che avanza, intanto, il presidente Xi Jinping ha consolidato il suo potere a un livello che non si riscontrava dai tempi di Mao, consacrando il Paese a un modello economico di capitalismo autoritario. Molti governi e cittadini da un capo all’altro del mondo vedono nella Cina una fonte di sicurezza, stabilità e opportunità, mentre l’Europa e l’America incarnano l’inefficienza politica e il disgusto dell’opinione pubblica verso i governanti.
Quanto terreno ha perso la democrazia negli ultimi anni? Da un lato, le istituzioni di governo in Europa, negli Stati Uniti e in altre democrazie industriali avanzate mostrano una straordinaria resilienza. I loro meccanismi di controllo sul potere aiutano le società a resistere agli shock. Negli Stati Uniti, i rappresentanti di opposizione, i tribunali, i media e gli apparati burocratici hanno contrastato in modo compatto le ripetute alzate d’ingegno di Trump. In Gran Bretagna, il Parlamento ha bloccato le ipotesi di Brexit sgradite ai suoi membri. In Europa occidentale, nessun leader eletto può dirsi sicuro che il suo governo resterà in piedi. Anche in democrazie più giovani come la Turchia, la Polonia o l’Ungheria, i burocrati, i magistrati, i giornalisti, i partiti di opposizione e gli elettori arrabbiati possono sempre mettere in riga i populisti al potere.
La storia recente della Grecia è una riprova della resilienza della democrazia. Quel Paese ha subìto una depressione economica più violenta e duratura persino della Grande Depressione americana degli anni ’30. Dopo di che un partito di estrema sinistra relativamente nuovo (Syriza) è salito al potere. Al di là del suo colore politico, tuttavia, Syriza ha mantenuto la promessa di collaborare con le istituzioni europee e il Fondo monetario internazionale per ripristinare la fiducia nel futuro del Paese.
Ma il discorso non finisce qui: anche se la democrazia tiene duro nei paesi in cui è profondamente radicata, infatti, le nuove tecnologie, e in particolare gli strumenti di comunicazione e raccolta di dati personali, possono ostacolarne la diffusione nel resto del mondo. Da Piazza Tiananmen al crollo sovietico alla caduta dei governi nei primi giorni della Primavera Araba, molti hanno dato per scontato che i progressi delle tecnologie di comunicazione avrebbero impedito agli autocrati di restare al potere. In un mondo in cui non erano più in grado di controllare il flusso di informazioni entro i confini nazionali e di limitare le possibilità di comunicazione tra i cittadini, il loro destino non era forse segnato?
E invece quei governi hanno trovato il modo di usare le nuove tecnologie per proteggersi. La guerra civile siriana ne offre un esempio convincente. Agli albori del conflitto, la Russia ha fornito al presidente Bashar al-Assad centinaia di ingegneri e analisti di dati per aiutare il suo esercito a setacciare sms e profili social dei cittadini siriani al fine di individuare e arrestare potenziali oppositori del governo. Quel progetto low-cost si è rivelato straordinariamente efficace nel soccorrere un regime intento a privare i suoi nemici di qualsiasi alleato.
In Cina esistono importanti sacche di scontento. Il caso forse più significativo è quello dello Xinjiang, un’area nel nordovest del Paese storicamente popolata dagli uiguri, una minoranza musulmana che ha subìto sistematiche discriminazioni politiche ed economiche e un’assimilazione etnica forzata. Dopo una violenta insurrezione, il governo cinese ha deciso di oscurare internet nell’intera regione. Oggi le autorità del Dragone sfruttano i progressi nel campo delle tecnologie di riconoscimento facciale e dei big data per identificare potenziali «piantagrane» e ridurre il rischio di manifestazioni pubbliche su larga scala. Questi e altri strumenti di controllo a disposizione dei governi cinese e russo si stanno diffondendo sempre più velocemente.
La democrazia, come la tecnologia, si evolve. Nessuno può affermare con certezza che questo o quell’autocrate governerà a vita. Per molti governi da un capo all’altro del mondo, tuttavia, l’ipotesi di un regime autoritario duraturo è diventata molto più realistica.

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