19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Angelo Panebianco

Biden avrà un atteggiamento molto più amichevole ma nemmeno lui potrà di nuovo garantire la sicurezza del vecchio continente con la forza di un tempo

Per quattro anni Donald Trump è servito all’Europa. Un perfetto diversivo. Grazie a Trump e alla sua volontà di rottamare antichi equilibri, vecchie alleanze e consolidate istituzioni, gli europei hanno potuto nascondere a se stessi per qualche tempo le proprie inadeguatezze, la propria incapacità di adattarsi al nuovo mondo: un mondo assai diverso da quello dei tempi delle vacche grasse, quando l’Europa prosperava economicamente permettendosi anche il lusso di costosissimi sistemi di protezione sociale grazie alla presenza americana, all’impegno assunto dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale a presidio della sicurezza europea. Biden avrà un atteggiamento molto più amichevole di Trump ma nemmeno lui farà andare indietro le lancette dell’orologio, nemmeno lui potrà di nuovo garantire la sicurezza dell’Europa con la stessa forza e credibilità di un tempo. L’Europa, apparentemente, non se ne è accorta. È impegnata nelle sue solite baruffe interne (quella del momento contrappone la Polonia e l’Ungheria agli altri). Di fronte alla nuova situazione geopolitica e strategica è impreparata l’Unione, i cui trattati, le cui istituzioni e le mentalità di coloro che le guidano, sono state forgiate in un’altra epoca. Ma sono impreparati anche i singoli Stati europei. Con l’eccezione, forse, della Francia (ma su questo si attendono verifiche). Nel nuovo mondo ci sono per l’Europa sfide inimmaginabili solo alcuni decenni fa. Alcune sfide sono «transnazionali» , altre sono convenzionali, ossia dovute alla competizione di potenza. Per fronteggiarle servono risorse culturali che al momento scarseggiano.
Gli attentati islamisti in Francia e in Austria ci hanno ricordato quale sia il più grave pericolo transnazionale che incomba sul vecchio continente. E hanno anche confermato quanto difficile sia per l’Europa elaborare una contro-strategia la quale , per non fallire, non può operare solo sul piano investigativo e giudiziario. Deve avere anche un carattere politico e di lungo respiro. Il Presidente francese Macron ha dato un segnale in tal senso. Ma non è affatto sicuro che l’Europa sia d’accordo. Si può constatare che , come succede regolarmente dopo ogni attentato fin dall’11 Settembre 2001 , anche in questo caso in tanti si sono dati da fare per disorientare l’opinione pubblica . Costoro sostengono che la religione nulla avrebbe a che fare con questi eventi e che pertanto mancherebbe il principale ingrediente dei conflitti di civiltà. L’argomento si presenta in due varianti. Per la prima la religione sarebbe solo una scusa e un paravento dietro al quale si trovano i corposi interessi di questo o quello Stato. A contare sarebbero solo questi interessi. Ma il ragionamento è fallace . Gli interessi statali non sono alternativi alle motivazioni religiose. Le due cose possono benissimo convivere. Nello scontro fra protestanti e cattolici nell’Europa del Cinquecento contavano sia la religione che gli interessi dei principi. Proprio come oggi.
La seconda variante è quella che tira in ballo l’emarginazione sociale, i ghetti eccetera. E’ una specie di «marxismo dei poveri» con la solita «struttura» (le condizioni materiali) che determina la «sovrastruttura» (le idee e le credenze che fanno agire gli umani). Ma fra i fondamentalisti (terroristi compresi) sono state trovate persone di ogni ceto sociale e con le più diverse esperienze alle spalle. Inoltre, da sempre, nei conflitti, molti manovali della violenza vengono reclutati fra sbandati ed emarginati ma non è la loro emarginazione la causa di quei conflitti.
Certamente , si può sostenere che la secolarizzazione (l’Europa è oggi il luogo più secolarizzato del mondo) abbia reso tanti europei incapaci di ragionare sui fenomeni religiosi e sui legami fra religioni e azioni umane. E inoltre, non va dimenticato quel tanto di razzismo inconsapevole che c’è nel negare alle persone (in questo caso gli autori di attentati) la capacità di intendere e di volere, nel trattarle come semplici marionette nelle mani di altri.
Però la ragione di fondo che rende così difficile per tanti europei riconoscere natura e portata di questa sfida è più generale. Discende dalla difficoltà ad accettare i cambiamenti intervenuti nel mondo che ci circonda . Questa difficoltà non riguarda solo le sfide transnazionali ma anche quelle convenzionali, ossia legate alla più tradizionale competizione di potenza. Il declino relativo degli Stati Uniti ha accresciuto la libertà di manovra di grandi e medie potenze , rette per lo più da regimi autoritari , tese ad allargare le proprie sfere di influenza anche a spese degli europei. Il turco Erdogan non avrebbe avuto lo spazio di cui dispone oggi senza il declino americano. Può usare la forza in Siria,in Libia, a sostegno degli azeri, fare manovre intimidatorie nell’Egeo, aizzare l’islam politico contro la Francia. Può impadronirsi di risorse energetiche e ricattare gli europei minacciando di inondare l’Europa con flussi incontrollabili di migranti via Siria o via Libia. Anche il neo- imperialismo russo , dal Medio al Vicino Oriente all’Africa sub sahariana , non potrà non avere ripercussioni sull’Europa. Anche i russi sono impegnati a procurarsi tutti i possibili mezzi di pressione e di ricatto nei nostri confronti.
Sull’Europa ci sono sempre state due idee. La prima è di chi (come chi scrive) crede che, una volta privata della tutela americana, essa farebbe molta fatica a camminare sulle proprie gambe. La seconda è di chi ha sempre pensato che , senza l’ingombrante presenza degli Stati Uniti , l’Europa se la caverebbe benissimo da sola. Poiché con Biden alla Casa Bianca il clima tornerà disteso ed amichevole ma i rapporti fra America e Europa non saranno più quelli di un tempo, i sostenitori della seconda tesi avranno ampia possibilità di dimostrare a noi scettici che c’eravamo sbagliati. Quali che siano le sfide, convenzionali o transnazionali , nell’età multipolare o post- americana.

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