Fonte: Corriere della Sera
di Paolo Franchi
Con le nuove norme la prospettiva più concreta sarebbe l’ingovernabilità, ma la politica ha orrore del vuoto e, quando l’alternativa non c’è, se la inventa
Negli anni, il quaranta per cento conquistato dal suo Pd nelle elezioni europee del 2013 si è trasformato per Matteo Renzi in un mantra, o forse in un’ossessione. Non si spiega altrimenti come Renzi, dopo la bruciante sconfitta nel referendum costituzionale, abbia pensato per qualche tempo di poter annettere al Pd il quaranta per cento ottenuto dai sì, rappresentandolo addirittura come un’ottima ragione per puntare dritto al voto anticipato. E tanto meno come faccia adesso a sostenere che, grazie al Rosatellum, il quaranta per cento (rieccolo!) dei voti al Pd e ai suoi alleati (quali?) gli consentirebbe di governare evitando imbarazzanti connubi.
Dice bene Michele Salvati (Corriere, 18 ottobre). Con la nuova legge elettorale che il Senato si appresta quasi sicuramente a varare, per avere una maggioranza, seppur risicata, alla Camera, come ha segnalato sul Sole 24 Ore Roberto D’Alimonte, il quaranta per cento dei seggi proporzionali può bastare, sì, ma a condizione di disporre del settanta per cento di quelli maggioritari. Bum: servirebbe un terremoto elettorale che però oggi è impensabile, e che in ogni caso, se si verificasse, avvantaggerebbe semmai la destra. La prospettiva più concreta sarebbe quindi l’ingovernabilità, se non fosse che la politica ha orrore del vuoto e, quando l’alternativa non c’è, se la inventa. Una maggioranza, numeri permettendo, potrebbe così anche prendere corpo, ma sulla base di una scomposizione, certo non indolore, delle coalizioni che si sono appena presentate agli elettori, l’una contro l’altra armata. Per intenderci: una piccola — larga intesa «di sistema» tra Pd e Forza Italia, o magari anche, chissà, una coalizione «antisistema» tra i Cinque Stelle e la Lega.
Almeno la prima di queste due possibilità, come tutti sanno, è nell’aria. Ma gli interessati la smentiscono con sdegno. Sarà un corpo a corpo con la destra fino all’ultimo voto, assicura Renzi. La sola idea di un’alleanza con il Pd non sta in piedi, gli fa eco Silvio Berlusconi. Come se il Rosatellum ci avesse restituito un’Italia a modo suo bipolare, se non proprio bipartitica come sperava diventasse, dieci anni fa, Walter Veltroni. Il perché di una simile rimozione della realtà è presto detto. Quelle due paroline, larghe intese, sono, in campagna elettorale, letteralmente indicibili: chi le pronunciasse, si condannerebbe da solo, in partenza, a perdere una valanga di voti. I più smaliziati ci avvisano che così funziona un sistema tuttora in misura preponderante proporzionale, ancorché ritoccato dal Rosatellum. Finita la stagione in cui agli italiani sapevano la sera delle elezioni chi li avrebbe governati negli anni a venire, siamo tornati ai tempi in cui erano i partiti a stabilire in assoluta libertà come avrebbero speso i loro voti, facendo e disfacendo alleanze a loro piacimento. In fondo, si osserva, nemmeno nella virtuosa Germania cristiano democratici, Spd, liberali e verdi hanno speso una sola parola, in campagna elettorale, per far sapere con chi si sarebbero alleati dopo il voto.
In realtà in Germania le cose non sono andate esattamente così: chi ha premiato liberali e verdi sapeva benissimo di candidarli a futuri partner di governo della Cdu, chi ha punito i socialdemocratici lo ha fatto quasi sempre per riportarli all’opposizione. E non andavano così nemmeno nella mai sufficientemente deprecata Prima Repubblica, o almeno nei tornanti cruciali della sua storia. Nelle elezioni del 1963, la cui posta era il nascente centrosinistra, un milione e passa di elettori dc che lo vedevano come il fumo negli occhi per contrastarlo votarono il Partito liberale di Giovanni Malagodi: non bastò. Nel 1968, un milione e mezzo di elettori socialisti che sottrassero il loro voto al Psi-Psdi unificati bastarono, invece, a decretare nello stesso tempo la fine dell’unificazione socialista e la crisi preagonica del centrosinistra medesimo. E nel 1976 i quattro milioni di italiani che votarono per la prima volta per il Pci certo non prevedevano che, dopo il voto, i comunisti avrebbero reso possibile con la loro astensione la nascita di un monocolore dc guidato da Giulio Andreotti, ma sapevano benissimo che il partito di Berlinguer era per il compromesso storico, non per l’alternativa di sinistra.
Insomma. Non solo nei sistemi maggioritari, ma anche in quelli proporzionali, i partiti avevano e hanno le mani meno libere (e il popolo sovrano ha più voce in capitolo) di quanto comunemente si dica. Nel nostro sistema non-si-sa-che-cosa non è così. E a un elettore non tifoso possono passare per la testa dei brutti pensieri. A differenza del 2013, i principali attori politici (soprattutto il Pd, perché le destre sono convinte di avere il vento in poppa) sanno di non poter conquistare la maggioranza, ma si presentano lo stesso come se questo, e solo questo, fosse il loro irrinunciabile obiettivo. Per i Cinque Stelle, che tra politica e propaganda non fanno troppe differenze, nessun problema particolare: semmai qualche vantaggio, perché potranno rappresentare i loro avversari come i ladri di Pisa. Ma gli altri? Dovremmo supporre che stiano scientemente per dare il via alla più ambigua (o magari alla più ingannevole) delle campagne elettorali? Forse, anzi, sicuramente, questi sono sospetti eccessivi e ingiusti. È più sensato, piuttosto, pensare che la maionese rischi di impazzire soprattutto per via dell’imperizia dei cuochi. Ma, anche in questo caso, non ci sarebbe proprio di che sentirsi rassicurati.