19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Banca-Italia

di Lorenzo Bini Smaghi

Per gli istituti di credito occorre una forte azione di politica economica: non basta il mercato per risolvere situazioni critiche

Dall’inizio dell’anno l’indice azionario del settore bancario europeo è calato di oltre il 30%. Il dato è preoccupante. Quello bancario non è infatti un settore come gli altri. È al centro del sistema economico, poiché trasforma il risparmio in credito alle famiglie e alle imprese. Se il sistema bancario non è redditizio, non riesce a generare capitale sufficiente per erogare nuovo credito e sostenere l’attività produttiva. In altre parole, se il sistema bancario è fragile l’economia non si sviluppa.
Questo è il motivo per cui il settore bancario è sottoposto a un sistema stringente di regole e di vigilanza. Questo è anche il motivo per cui la politica economica non può lasciare al solo mercato la risoluzione di situazioni critiche.
Dopo la crisi finanziaria che seguì il fallimento della Lehman Brothers, nel 2008, i governi e i parlamenti dei Paesi avanzati hanno adottato — sulla spinta pressante delle loro opinioni pubbliche — regole ferree per limitare la possibilità di immettere fondi pubblici nel capitale delle banche. Cercare oggi di rimettere in discussioni queste regole, in Europa o altrove, è una illusione. Ciò non significa tuttavia che le autorità pubbliche non abbiano più alcun potere sul sistema bancario, e che debbano solo avvallare le soluzioni di mercato, soprattutto se queste avvantaggiano alcuni ma indeboliscono l’insieme.
Le difficoltà del sistema bancario europeo, nel suo complesso, non sono dovute alla sua situazione patrimoniale. Questa è nettamente migliorata negli ultimi anni, come si è visto dai recenti stress test condotti dalla Banca centrale europea, o dall’evoluzione del costo dell’assicurazione contro il default, rimasto sostanzialmente immutato per la gran parte delle banche. Il problema riguarda soprattutto la redditività, ossia la capacità di generare utili, che scoraggia gli investitori, vecchi e prospettici.
a redditività si è ridotta per l’effetto di vari fattori, alcuni comuni a livello europeo, altri più specifici ad alcuni Paesi. Il primo fattore è il calo dei tassi d’interesse, scesi addirittura in territorio negativo, e l’appiattimento della curva dei rendimenti, che comprime i ricavi. Il secondo è la ripresa economica ancora debole, soprattutto in alcuni Paesi. Il terzo è il ritardo con cui molte banche hanno affrontato la necessità di rivedere il loro modello di business, che richiede maggior automazione dei processi e un forte taglio dei costi fissi e del personale. Il quarto è l’insufficiente pulizia dei bilanci bancari e l’ancora elevata esposizione in titoli di Stato, il cui rendimento si è fortemente ridotto. Il quinto fattore è l’eccessiva frammentazione e la bassa quota del mercato dei singoli istituti. Infine, le banche europee risentono della mancanza di un mercato integrato dei capitali, sul quale alleggerire parte del loro bilancio come fanno le controparti americane.
Questi fattori di debolezza si sommano in alcuni Paesi. Essi sono in parte il frutto di scelte manageriali inadeguate in alcune banche, ma anche di un contesto europeo e nazionale poco flessibile, che pone ostacoli alle ristrutturazioni e alle aggregazioni. Affidarsi alle sole forze di mercato per risolvere questi problemi significa accettare un forte ridimensionamento del settore, con effetti fortemente recessivi sull’economia, dato che in Europa il credito viene erogato principalmente dalle banche. Altrimenti, diventa necessaria una iniziativa politica di ampio respiro, sia a livello europeo, sia dei singoli Paesi.
A livello europeo la banca centrale dovrebbe adottare misure, simili a quelle in vigore in altri Paesi (ad esempio in Giappone o in Svezia), per contenere l’impatto dei tassi d’interesse negativi sui ricavi delle banche. L’autorità di vigilanza dovrebbe inoltre interpretare le norme prudenziali in modo da incoraggiare le aggregazioni bancarie, in particolare quelle transfrontaliere, anche per favorire l’emergere di un vero mercato europeo dei capitali. Infine, si devono creare incentivi per indurre le banche ad accelerare la ripulitura dei bilanci, anche attraverso una interpretazione più flessibile delle regole sugli aiuti di Stato. Più in generale, è necessario un maggior coordinamento tra le istituzioni europee e quelle nazionali, in particolare al tavolo negoziale di Basilea dove le nuove proposte rischiano di penalizzare ulteriormente il finanziamento delle piccole e medie imprese e delle infrastrutture.
A livello nazionale, si devono adottare misure che consentano di accelerare la ristrutturazione del sistema bancario, per favorirne l’efficienza, anche attraverso la riduzione dei costi. È inutile nasconderselo; nei prossimi anni il numero degli addetti nel settore bancario si ridurrà fortemente, anche per effetto dell’innovazione tecnologica e del cambiamento delle procedure e delle stesse abitudini dei risparmiatori. Vanno messi in atto strumenti che agevolino questa evoluzione e ne assorbano i costi sociali. Far finta che la situazione si risolverà da sola, senza un’azione forte di politica economica, è illusorio, contribuisce a scoraggiare gli investitori e indebolisce ulteriormente il sistema.

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