18 Settembre 2024
Palazzo Montecitorio Parlamento

Palazzo Montecitorio Parlamento

I vertici li deciderà sempre il premier, e si certifica il fatto che oggi il sistema politico non è nelle condizioni di negoziare

La scelta sulle nomine rende chiara la strategia di Draghi. Non è solo il tradizionale esercizio di potere che un premier applica per la durata della sua permanenza a Palazzo Chigi, si proietta oltre. L’obiettivo è mettere in sicurezza il «sistema Italia», attrezzarlo per renderlo efficiente nell’intera fase di realizzazione della grande scommessa sul Recovery plan. Nelle sue mosse non c’è solo l’intenzione di gestire la fase presente ma di assicurarsi che il disegno non s’inceppi nel futuro. Anche dopo l’elezione del prossimo Parlamento.
L’impianto delle riforme e la selezione della classe dirigente sono insomma parte dello stesso piano, servono a Draghi per sgombrare il campo dai timori di chi già prevede che l’Italia finirà prima o poi per impantanarsi nei soliti ritardi. È un modo per tutelare la credibilità del Paese, garantire la parola data all’Europa, assicurare che il percorso del Pnrr verrà ultimato a prescindere da chi sarà nei prossimi anni a Palazzo Chigi. Così i piani del premier mirano ad allargarsi oltre l’orizzonte di questo gabinetto.
È questo il vero segno di discontinuità rispetto al governo precedente. E il fatto che sia cambiato il quadro di comando non è per vendetta verso Conte e i contiani. Ipotecando di fatto il futuro, Draghi sta applicando lo spoil system con nomine dall’evidente profilo fiduciario che sono funzionali alla sua strategia. E a un cambio di fase, oltre che di passo. È successo con la Protezione civile, con l’Autorità delegata ai servizi, con il capo del Dis. Prosegue ora con la Cassa depositi e prestiti e con le Ferrovie, che non sono organismi neutri nella gestione del Pnrr.
Non si fermerà. Continuerà a fare quanto aveva anticipato ai partiti, che sono sempre stati consultati e ai quali è stata comunque garantita una presenza proporzionale al loro peso nei cda delle aziende partecipate. Ma nulla più: i vertici li deciderà sempre il premier. Ecco l’altro elemento di rottura con i metodi della gestione passata: non c’è discussione in Consiglio dei ministri o nella cabina di regia; non c’è un tavolo di contrattazione sui nomi dei manager pubblici; non ci sono nemmeno accordi separati. Anche in questo caso non c’è una sfida al sistema politico, semmai si certifica il fatto che oggi il sistema politico non è nelle condizioni di negoziare.
E ovviamente nei partiti il nervosismo è latente: i grillini si sentono umiliati, il Pd vede intaccato quel ruolo che si è sempre attribuito, la Lega e Forza Italia trattengono a stento la loro insofferenza. E in modo bipartisan criticano sottovoce i metodi di Draghi, lo ritengono afflitto dalla sindrome di Palazzo Chigi che causa deliri di onnipotenza. C’è chi avvisa che senza una regia politica l’incidente parlamentare possa essere sempre dietro l’angolo. E chi, molto più prosaicamente, minaccia di rovesciare la rottura del principio di solidarietà nelle votazioni a scrutinio segreto per l’elezione del prossimo capo dello Stato.
Tutti in ogni caso promettono di rivalersi e le nomine Rai rappresenteranno il momento ideale per la rivincita, perché la Tv di Stato è da sempre terreno di caccia dei partiti, perché il suo presidente deve essere votato dalla Commissione parlamentare di vigilanza, perché storicamente nel cda i consiglieri indossano una maglietta. Si vedrà se la maggiore azienda culturale del Paese sarà ancora una volta sottomessa al destino che l’ha segnata. O se anche lì si noterà un segno di discontinuità.
Ma non è accreditata l’idea che i partiti, come per ripicca, possano mettere a repentaglio la stabilità o che possano approfittare del semestre bianco per rallentare il passo di Palazzo Chigi. Più semplicemente le nomine di Draghi sono il trasferimento del suo sistema di governo nella tecno-struttura, che si mette al servizio di un disegno e non è più — come è accaduto in passato — un contraltare. La politica tornerà ad avere un ruolo per la corsa al Quirinale. E in vista di quell’appuntamento il premier cercherà di mettere in sicurezza un piano che va oltre l’orizzonte di questo esecutivo.

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