Fonte: Corriere della Sera
di Alessandro Trocino
Calenda minaccia l’addio se c’è l’asse con il M5S. Giacomelli: Renzi ritiri le dimissioni. Il reggente frena. Alle 11 arriva la delegazione del Pd, a seguire quella M5S
Grandi manovre, palesi e sotterranee, per presentarsi all’appuntamento di questa mattina, quando il presidente della Camera Roberto Fico, munito di mandato esplorativo, incontrerà per il secondo giro di consultazioni le delegazioni del Pd e poi del Movimento 5 Stelle. Un accordo sembra lontano, nonostante l’offerta di dialogo di Luigi Di Maio e nonostante una cauta apertura da parte del reggente dem Maurizio Martina.
Dentro il Pd, le opinioni divergono sensibilmente. Perché si confrontano varie sensibilità e perché il no di Matteo Renzi e dei renziani, che hanno la maggioranza nella Direzione (non ancora convocata), si scontra con le aperture delle minoranze. Martina ricorda che «le distanze restano importanti», ma ribadisce anche la sua volontà di «provarci». In mattinata esprime fastidio per l’iniziativa dei renziani, che hanno rilanciato l’hashtag su twitter #senzadime: «Lasciamo da parte gli hashtag e facciamo politica». Sottolinea le parole «molto nette e chiare» di chiusura a Salvini di Di Maio. E in serata, a Porta a porta, spiega: «Penso che questa sfida vada accettata. Il Pd deve giocare all’attacco». Anche perché «le possibilità di tornare al voto non sono poche e sarebbe un rischio per il Paese». E Renzi? «Lo sento spesso, l’ultima volta mezz’ora fa. Abbiamo idee diverse, ma ci si confronta». Michele Anzaldi, caustico, commenta: «Martina? Ha fatto la Direzione da Vespa». Chi proprio non ci sta a un governo con i 5 Stelle è Carlo Calenda, fresco di tessera pd: «In caso di alleanza, mi dimetto».
Intanto su Renzi si accende un’altra polemica. Antonello Giacomelli lancia una proposta a sorpresa: «Renzi ritiri le sue dimissioni». Martina minimizza: «Non è uno sgarbo». Ma invita a «rispettare» le decisioni di Renzi. La proposta di Giacomelli, in realtà, sarebbe stata concordata con lo stesso ex segretario e con Luca Lotti. E i 5 Stelle? Aspettano alla finestra. Ufficialmente ansiosi di avere una risposta positiva per mettersi a un tavolo. Ufficiosamente, però, non particolarmente dispiaciuti per aver fatto esplodere dentro il Pd tutte le contraddizioni. Bastava leggere le agenzie di ieri: zero dichiarazioni di esponenti 5 Stelle, silenziate dai vertici che non ammettono esternazioni, e mille dichiarazioni di esponenti del Pd. In realtà, anche dentro il Movimento le acque non sono tranquille. Tra i parlamentari ci si divide sull’opportunità, o necessità, di sacrificare Di Maio premier pur di portare a casa il governo. E si teme il crescere di una reazione di rigetto della base, nutrita per anni ad antirenzismo e anti Pd, e ora in difficoltà nel riconvertirsi al nuovo verbo ecumenico. Se la trattativa fallisse, si affaccerebbe probabilmente un governo istituzionale. E lì potrebbe scattare una convergenza di ritorno tra i due vincitori alle elezioni, refrattari agli «inciuci». Con l’unico, non piccolo, particolare della divergenza sulla figura del premier: Di Maio o Salvini? Non si risolvesse la disputa, si tornerebbe al voto.