Fonte: Corriere della Sera
di Mario Monti
Il confronto con l’Ue voluto dal governo, anche se dovesse escludere l’apertura formale della procedura di infrazione, non finirà in modo vincente. Sarebbe stato opportuno sollevare il caso degli squilibri macroeconomici tedeschi. Bisognava proporre in modo argomentato uno spazio maggiore per gli investimenti pubblici nel patto di stabilità
Come finirà la vicenda della procedura di infrazione per disavanzo eccessivo, il cui iter è stato avviato dalla Commissione europea a carico dell’Italia? Per ora sappiamo che tutti gli Stati dell’eurozona hanno condiviso l’analisi della Commissione e hanno invitato l’Italia a prendere le misure necessarie per mettersi in regola. Il governo italiano presenterà a breve elementi intesi a dimostrare l’infondatezza di un’eventuale procedura. Se poi, malgrado ciò, questa venisse aperta, sembrano esservi nel governo posizioni diverse: dalla contestazione della legittimità della procedura, al rifiuto politico di adempiere alle richieste, all’accettazione di esse se non altro per evitare danni maggiori in caso di turbolenze nei mercati finanziari.
E’ certo importante immaginare come questa vicenda finirà, quali saranno le sue conseguenze economiche e finanziarie, quali le ripercussioni sul difficile rapporto tra il nostro Paese e l’Europa e sulla politica interna. Ma ancora piu’ importante e’ analizzare — e questo lo si può fare meglio oggi, prima che le bocce nei prossimi giorni si rimettano in moto — come l’Italia sia riuscita a finire in questo scomodo angolo, dopo essere stato il primo Paese ad uscire, nella primavera del 2013, dalla precedente procedura per disavanzo eccessivo alla quale era stato sottoposto, con molti altri, nel 2009.
La battaglia di questi giorni non è stata voluta dall’Europa, che infatti aveva dato molti segnali preventivi e per nulla bellicosi. E’ stata voluta dal governo italiano. Si può, a volte si deve, dare battaglia in Europa, ma è essenziale scegliere bene. Questa battaglia, anche se dovesse finire «bene», cioè senza l’apertura formale della procedura, non sarà stata una battaglia vincente.
Vi sarebbero state due battaglie sacrosante, nell’interesse dell’Italia e dell’Europa, anche se non gradite a Berlino, che il governo avrebbe dovuto combattere subito dopo la sua nascita un anno fa e sulle quali avrebbe trovato diversi alleati: 1) entro le regole attuali, premere con altri governi sulla Commissione affinché attivasse pienamente la procedura relativa agli squilibri macroeconomici, di cui è responsabile in particolare la Germania; 2) in vista di una revisione delle regole, proporre in modo argomentato uno spazio maggiore per gli investimenti pubblici nel patto di stabilita. Invece, si è scelta la battaglia sbagliata, sul piano strategico e su quello tattico.
Sbagliata nel concerto europeo,in quanto di interesse solo italiano e mal vista da molti altri: che all’Italia venga consentita ancora un po’ più di flessibilità sul disavanzo, di fatto sul disavanzo corrente. Esattamente la linea voluta — con una scaltrezza e, almeno all’inizio, con uno charme sconosciuti al governo attuale — dal tanto vituperato Matteo Renzi.
E’ una battaglia, soprattutto, sbagliata nell’oggetto, nel contenuto economico. Era vero ai tempi di Renzi ed è vero oggi. A chi giova che lo Stato italiano venga autorizzato dall’Europa non certo a ricevere fondi dall’Europa stessa, ma a far crescere ancora il disavanzo per finanziare in debito non già investimenti pubblici, generatori di crescita, ma maggiori spese correnti (dagli 80 euro al reddito di cittadinanza)? Giova,almeno per un po’ di tempo, a chi quei soldi li riceve. Giova certamente — e questo spiega perché è una prassi così diffusa in Italia — ai politici che sperano di avere i voti di quei cittadini. E’ d’altra parte danneggiata la generalità dei cittadini oggi (interessi più alti sui mutui, denaro più caro per le imprese, tasse più alte perche’ lo Stato paga interessi più alti). Soprattutto, saranno danneggiati gli italiani di domani e dopodomani, che si troveranno sulle spalle un debito pubblico accresciuto. Ecco perché è del tutto fuorviante che chi governa, se ottiene da Bruxelles più flessibilità per fare questo, presenti il risultato come una «vittoria» dell’Italia. Questo era vero ai tempi di Renzi, come dimostrano del resto i modestissimi benefici in termini di crescita dei 30 miliardi di euro di «flessibilità» concessi all’Italia ; e sarà vero nel giorno in cui, eventualmente, l’Europa dovesse «graziare» l’Italia dalla procedura di infrazione, per amor di quieto vivere ma facendo in realtà il danno del nostro Paese.
E’ una battaglia sbagliata anche nei tempi. In primo luogo, nei tempi della Storia. Infatti, come ha spiegato con chiarezza Federico Fubini sulCorriere di ieri, una «guerra all’austerità» dichiarata oggi all’Europa assomiglia ad una guerra ad un fantasma — che certo è esistito, con errori gravi commessi soprattutto a danno della Grecia, sulla quale ha infierito quella Troika alla quale l’Italia non ha voluto sottomettersi — non ad una guerra contro un male che si aggiri oggi per l’Europa.
In secondo luogo, è uno scontro sbagliato nei tempi della tattica. Andare contro tutti — dalla Commissione a tutti gli Stati dell’eurozona, trovando l’ostilità anche di Stati che sono al di fuori di essa e che il nostro governo considerava propri alleati — proprio nelle settimane in cui si fanno i giochi per le nomine europee con effetti sui prossimi cinque anni, offre ad altri Paesi la facile via di tacitare le ambizioni del governo italiano su quel tavolo con la promessa di non infierire contro l’Italia in sede di decisione sulla procedura di infrazione.
Nell’attesa della fatidica decisione dell’Europa — e se poi non dovesse arrivare la temuta procedura, nell’intonare l’inno di Mameli si dovrebbe inserire un punto interrogativo dopo «Dov’è la Vittoria» — conviene riflettere sulla serie di errori che ha portato il nostro Paese a dipendere dalla clemenza degli altri, dopo diverse esibizioni di forza che non sembrano avere impressionato nessuno. Tranne, beninteso, milioni di docili e ignari elettori, orgogliosi finalmente di essere italiani perché viene detto loro che l’Italia dopo lungo tempo ha rialzato la testa, ha mostrato i pugni e che così per la prima volta si fa rispettare, in Europa e nel mondo.