Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
I toni sono alti, verrebbe da dire ai limiti della spavalderia. Matteo Renzi avverte che l’Italia «è tornata». «Il suo protagonismo impaurisce» l’Europa: non come «è accaduto spesso in passato». C’è da sperare che abbia ragione
I toni sono alti, verrebbe da dire ai limiti della spavalderia. Matteo Renzi avverte che l’Italia «è tornata». «Il suo protagonismo impaurisce» l’Europa: non come «è accaduto spesso in passato». C’è da sperare che abbia ragione. Per il momento, purtroppo, il presidente del Consiglio è circondato dal silenzio apparentemente ostile degli altri Stati europei.
A rispondergli con toni quasi sprezzanti è solo la Commissione Ue di Jean-Claude Juncker. E Manfred Weber, capogruppo del Ppe e di fatto portavoce continentale della cancelliera tedesca Angela Merkel, bolla in modo discutibile Renzi come una sorta di alleato oggettivo dei populisti.
Il premier non sembra spaventato all’idea di collezionare tanta avversità. Eppure, il sospetto è che i suoi nemici europei comincino a essere un po’ troppi; e che l’irritazione fredda verso il suo governo nasconda lo scarto tra la convinzione renziana di dover far pesare le riforme approvate, e la determinazione altrui a ridimensionarne ambizioni e pretese.
T anto che lo scontro inedito degli ultimi giorni sull’asse Roma-Bruxelles-Berlino, ma forse anche lungo altre direttrici rimaste coperte, potrebbe nascondere una decisione accarezzata silenziosamente: quella di isolare l’Italia e frustrare le sue richieste d’aiuto.
Un gesto ha sconcertato: la rapidità con la quale il «ministro degli Esteri» dell’Ue, l’italiana e renziana Federica Mogherini, ha scelto di schierarsi con Juncker rispetto a Renzi. La mossa promette di indebolire insieme lei e Palazzo Chigi, offrendo l’immagine di una nazione incapace di unità a livello internazionale perfino quando si milita nello stesso partito. Renzi ricorda di avere archiviato un passato mediocre, sebbene sappia quanto alcuni dei suoi predecessori abbiano rappresentato degnamente gli interessi dell’Italia.
Eppure, il suo scontro con Bruxelles e il gelo con la Mogherini trasmettono una fastidiosa eco della stagione finale della Seconda Repubblica. L’insistenza sul nuovo «protagonismo» italiano, come viene definito, sembra non tenere conto della debolezza del nostro Paese sul piano dei conti pubblici e dei numeri di una ripresa economica un po’ anemica. Ma soprattutto, sottovaluta un panorama continentale percorso da tensioni nazionaliste crescenti: sia per le percentuali della disoccupazione, sia per l’impatto di un’immigrazione epocale dal Medio Oriente e dall’Africa.
Inasprire una polemica con l’Europa su questo sfondo rischia non solo di armare chi imputa strumentalmente a Renzi di favorire i partiti populisti, in Italia e altrove. Promette di inserirlo in maniera arbitraria in una filiera euroscettica dalla quale invece il governo si è sempre e meritoriamente tenuto a distanza. Deflettere da una strategia moderata ed europea nel senso migliore del termine regalerebbe argomenti e pretesti alla Lega Nord e al Movimento 5 Stelle, suoi acerrimi avversari in Italia. E, all’estero, disperderebbe una piccola ma preziosa rendita di credibilità nelle istituzioni e sui mercati finanziari.
La sensazione è che, senza volerlo, o magari con un occhio ai consensi sul piano interno, Renzi stia sfiorando una trappola pericolosa: un imbuto di ritorsioni polemiche con l’Ue, destinate a minare un’impalcatura europea già traballante; ma anche a ridisegnare in peggio il ruolo e il peso italiani nel Vecchio Continente. Il problema posto da Palazzo Chigi sugli aiuti europei alla Turchia come argine contro l’assedio dei profughi, non è affatto campato in aria. Renzi ha ricordato a ragione le ambiguità di Ankara sul terrorismo del sedicente Stato Islamico.
Il fatto che il suo «no» sia stato usato per metterlo nell’angolo, però, tradisce un’insofferenza europea che non può sottovalutare. Non può, perché è destinata a scaricarsi sul governo; e ad attribuirgli responsabilità e colpe che non corrispondono alla realtà. D’altronde, quando anche ieri Juncker se la prende con gli esecutivi che criticano l’Europa invece di «guardarsi allo specchio», non parla solo a Roma: in realtà si rivolge alle ventotto nazioni che stanno perdendo il senso d’appartenenza all’Ue. Insomma, si tratta di un problema politico, non tecnico. È quello che pensa lo stesso Renzi.
Forse si spiega così la scelta «forte» e controversa di sostituire in corsa l’ambasciatore italiano all’Ue, mandando a Bruxelles il viceministro Carlo Calenda: un politico, non un diplomatico. È una mossa dirompente. Si capirà presto se riflette la reazione di un premier che vuole riprendere il controllo della situazione, o un nuovo fronte che gli porterà altri nemici.