Fonte: Corriere della Sera
di Ernesto Galli della Loggia
Berlino è concentrata solo sui suoi interessi economici, guarda a Oriente, e trascura i Paesi del Sud dell’Unione europea, sottovalutando il Mediterraneo
Basta qualche buon libro di storia per sapere che nel giugno del 1941, se Hitler, dopo aver sconfitto la Francia ed esteso il proprio dominio sui Balcani, invece di muovere guerra all’Unione Sovietica avesse deciso di lanciare le armate naziste verso il Mediterraneo orientale, verso Suez e poi il Medio Oriente, avrebbe potuto colpire il cuore indifeso dell’impero britannico e molto probabilmente il secondo conflitto mondiale avrebbe avuto un esito molto diverso da quello che sappiamo. Per quale ragione Hitler invece attaccò a est? Per il suo fanatico odio ideologico-razziale contro il «giudeo-bolscevismo», naturalmente, ma anche per un’altra ragione non meno importante. Perché in lui agiva una radicata tradizione tedesca che vedeva il destino storico della Germania nell’Europa orientale e ancora più a oriente, nella prospettiva di un incontro-scontro con il mondo slavo-russo. Una tradizione fatta di ricordi storici — dai viaggi dei vichinghi nella Rus’ di Kiev, alla spinta conquistatrice dei cavalieri teutonici lungo le rive del Baltico — rinvigoriti da una sorta di attrazione fatale maturata nel corso dell’800 tra la cultura germanica e quella russa, tese quasi alla ricerca di un reciproco completamento. Dopo la fine dell’impero sovietico questa tradizione di «spinta verso oriente» ha ripreso a farsi sentire. Non più naturalmente come desiderio di espansione territoriale (sul modello del ’14 o del ‘41) o nella forma di un ambiguo richiamo tra sensibilità culturali eguali e diverse. Bensì come ricerca da parte della Germania di approvvigionamenti energetici e di mercati per i manufatti tedeschi, come possibilità d’insediamento di reti commerciali e di penetrazione culturale. Tutto ciò peraltro, per quanto riguarda la Russia, senza la fastidiosa necessità di fare i conti con un’opinione pubblica indipendente: anzi al contrario potendo trattare direttamente con un potere centrale unico e onnipotente. Quello che siede al Cremlino e comanda su tutto. Ma guardare a oriente significa distogliere lo sguardo dal mezzogiorno, non guardare cioè al Mediterraneo. Chiudere gli occhi davanti al fatto che oggi è proprio nel Mediterraneo che si giocano le due partite decisive del continente. Dal cui esito, tra l’altro, anche gli equilibri all’est dipendono in misura decisiva.
La prima partita è quella dell’avvenire dell’Unione Europea. Se Spagna, Italia e Grecia non riescono a restare nel progetto Ue a pieno titolo, se le regole dell’Unione non riescono a essere compatibili vuoi con le attuali difficoltà economiche di questi Paesi vuoi con le loro necessità di sviluppo, se — come finora è accaduto — essi vengono lasciati virtualmente soli a sbrigarsela con il gigantesco problema delle migrazioni dall’Africa, ebbene, allora è davvero difficile pensare che una qualunque costruzione europea possa alla lunga continuare ad essere vitale. Ancor più difficile diventa pensare che quella costruzione possa mai evolvere nella nascita di un autentico soggetto politico. E d’altra parte, come è noto, senza una tale prospettiva diventa problematico altresì credere che la stessa moneta unica, lo stesso euro, possa alla lunga riuscire a tenere. Pensare, secondo quanto da decenni pensano i circoli politici tedeschi, che per tenere agganciata l’Europa meridionale all’Ue basti tenere agganciata la Francia in una sorta di finto condominio franco-tedesco dell’Unione, pensare ancora oggi ciò è destinato a rivelarsi sempre più un’illusione. Per il semplice motivo che la Francia, afflitta anch’essa da gravi problemi economico-sociali e da oscure prospettive politiche, rischia sempre più di assomigliare all’Italia anziché alla Germania.
La seconda partita decisiva — decisiva innanzi tutto per l’Ue — che si gioca nel Mediterraneo è quella politico-militare. È tra Istanbul e Tangeri, infatti, che oggi passa il confine dei conflitti, delle guerre, delle rivoluzioni, delle tensioni di ogni tipo, che dall’Afghanistan al Golfo Persico, all’Africa subsahariana, stanno ripercuotendosi nei modi più pericolosi sull’Europa. Pensare di non presidiare politicamente e militarmente un tale confine con tutto il vigore necessario, pensare che un qualunque soggetto politico europeo possa evitare di farlo, lasciando la situazione andare per conto suo, equivale semplicemente a una miopia suicida. Ma dell’importanza cruciale delle due partite ora dette la Germania non sembra accorgersi né curarsi troppo. Il Mediterraneo sembra essere per lei solo un fastidioso inciampo nella trionfale marcia economico-manifatturiera a cui si sente chiamata e che la conduce altrove. In questo sostanziale disinteresse, in questo sentimento di estraneità e di lontananza nei riguardi del Sud — vanamente compensato dall’attrazione per il suo volto «esotico» — si esprime tutto il peso profondamente introiettato di quel modello geopolitico di cui parlavo all’inizio. Un modello che considera la posizione geografica della Germania nel continente — che è una tipica posizione di «potenza di centro» — come la premessa di una vocazione europea del Paese tutta e solo terrestre. Fuori della quale può esserci semmai solo il richiamo fascinoso degli spazi oceanici, il miraggio di un destino mondiale come quello che per esempio accarezzarono le élite guglielmine all’inizio del ‘900 impegnandosi nel duello navale con la Gran Bretagna destinato a sfociare nella guerra.
È proprio la profonda incomprensione, venata magari da un qualche sottile disprezzo antropologico, circa il ruolo e il significato del Mediterraneo, è proprio l’incapacità di cogliere il carattere essenziale di questo limes geo-politico marino ai fini dello statuto storico-culturale dell’Europa, e dunque in vista di una sua autentica esistenza come soggetto politico (non solo continentale ma mondiale): sono proprio questi fattori che in ultima analisi rendono la Germania incapace tuttora di divenire l’effettivo centro motore dell’Unione Europea. Cioè il Paese in grado di esercitare un ruolo di effettiva guida politica perché in grado di accogliere, d’interpretare e di ricondurre le varie parti che costituiscono l’Unione a una sintesi accettabile da ciascuna di esse.