20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Pierluigi Battista

Il presidente del Consiglio ha stabilito, in un’occasione istituzionale, che Salvini non ha detto il vero quando ha descritto Gianluca Savoini come un intruso

L’informativa al Senato sul Russiagate del premier Conte ha prodotto una sequenza di fatti in palese contrasto tra loro: dal punto di vista logico, ma non da quello politico. Primo fatto: il presidente del Consiglio ha stabilito, in una solenne occasione istituzionale e non in una chiacchiera informale, che il vicepresidente del Consiglio Salvini non ha detto il vero quando ha descritto Gianluca Savoini come un intruso, perché il canale per partecipare ai vertici italo-russi del suddetto Savoini era stato predisposto proprio dai più stretti collaboratori di governo del ministro Salvini. Il secondo fatto è che la descrizione di una così evidente bugia del vicepresidente del Consiglio, riportata in Senato non da un parlamentare qualunque ma dallo stesso presidente del Consiglio, in altri tempi avrebbe con ogni probabilità scatenato una tempesta politica e governativa, mentre oggi cade completamente nel vuoto, senza conseguenza alcuna.
Il terzo fatto è che la prova di forza del premier, voluta dallo stesso Conte, ha mostrato al contrario qualche segno di debolezza, perché il rifiuto di tirare le conseguenze politiche del comportamento del suo vicepresidente ha di molto compromesso il primato nella compagine di governo che il premier rivendicava per sé, anche con una certa insofferenza nei confronti del capo della Lega, fino a far parlare di un eventuale «partito di Conte». Il quarto fatto è che il bersaglio delle polemiche, Matteo Salvini, può dire di aver vinto un round, malgrado le grida dell’opposizione e il pericolo che il Russiagate avrebbe potuto scalfirne l’immagine, anche al di là del dato giudiziario in senso stretto. Il quinto fatto è la clamorosa manifestazione di debolezza dei Cinque Stelle, che sulla questione russa avevano pensato di prendersi una rivincita e di mettere in difficoltà Matteo Salvini e che invece si sono assentati dall’aula del Senato, ancora storditi dalla disfatta sulla Tav, proprio nel momento del discorso del presidente del Consiglio.
Per salvare il governo, il premier Conte ha come tracciato il percorso di due politiche parallele sul piano della politica estera: quella del governo, fedele alle alleanze internazionali e alla compagine europeo-occidentale, e quella delle singole forze politiche che avrebbero, secondo questo racconto, una loro autonomia senza mettere in discussione la linea ufficiale del governo. Par rassicurare gli alleati europei, Conte dice che nulla cambierà nella politica internazionale del governo. Per rassicurare la coalizione gialloverde, Conte dice che ciascuno è libero di percorrere una sua strada, senza compromettere la linea del governo. Un’acrobazia dialettica che però non placa le ansie dei Cinque Stelle che si vedono scavalcati e anche umiliati da un dualismo tra Conte e Salvini che li condanna ai margini. Un copione che potrebbe andare avanti per mesi, a meno di traumi imprevedibili. Con un vincitore, e molti perdenti.

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