22 Novembre 2024

L’Italia in Europa è considerata affidabile ma ora è necessario superare lo scoglio del Mes, visto che siamo l’unico Paese a non aver firmato la riforma, bloccando così il processo

Tra poco meno di un anno si svolgeranno le elezioni per il nuovo Parlamento europeo. Se dovessimo volgere lo sguardo all’indietro, gli ultimi quattro anni hanno visto un progressivo cambiamento di atteggiamento da parte di Bruxelles nei confronti del nostro Paese. Negli anni precedenti non c’era legge di Bilancio, azione di politica economica o meno che non passasse sotto la lente di ingrandimento delle istituzioni comunitarie. Con giudizi a volte sprezzanti e sgradevoli.
Il diverso approccio è testimoniato da scelte come il Next Generation Eu, programma del quale l’Italia è la maggiore beneficiaria. Come pure dal rispetto che l’Italia si è guadagnata in questi anni. Un rispetto garantito anche dalla scelta di difendere fino in fondo, all’indomani della tragica invasione russa dell’Ucraina, gli interessi di un popolo aggredito. Posizione ribadita con forza dal nuovo Parlamento e dal nuovo governo.
Oggi inizia un importante Consiglio dei capi di Stato europei. L’Italia ci arriva con molti dossier in evoluzione. Ma con una sorta di apertura di credito, visibile anche soltanto nel modo con il quale pazientemente si sta accompagnando il nostro Paese nell’attuazione e nelle modifiche del Piano nazionale di resilienza e rilancio (Pnrr).
Tanto che sono suonate inutilmente polemiche le parole (e i toni) sentiti nei confronti di chi, in Europa, non avrebbe vigilato negli anni scorsi sul Pnrr. Toni e affermazioni che fanno il paio con il tentativo continuo di scaricare sui governi precedenti ogni eventuale problema di oggi.
Eppure, il credito di cui l’Italia in Europa gode è reso evidente dalla lettera inviata da Paschal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo, martedì scorso al suo collega Charles Michel del Consiglio europeo. Lettera nella quale ha elencato le cose fatte e quelle da fare. Tra queste, il procedere alla riforma del Mes, il meccanismo creato per assistere gli Stati e le banche in caso di difficoltà.
Nella lettera si fa menzione dell’Italia. Dicendo che continueranno gli sforzi dell’Eurogruppo per arrivare alla ratifica anche da parte del nostro Paese. Un impegno di Donohoe preso ma ancora una volta senza sottolineare che l’Italia è l’unico Paese a non averlo firmato. Cosa che blocca tutto il processo avviato dagli altri membri della moneta unica. Persino le modifiche che l’Italia avrebbe in animo di proporre.
E va pur sempre ricordato che all’interno dello stesso governo, come esplicitato dagli uffici del ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti, si è sottolineato pubblicamente l’utilità della partecipazione (e quindi della ratifica) del Meccanismo europeo di stabilità.
Ma la presidente del Consiglio ancora ieri in Parlamento ha ribadito che discutere di Mes ora non è nell’interesse nazionale. E che andrebbe discusso «a pacchetto» con altre norme, come quelle sul patto di Stabilità. A dossier si aggiungono dossier.
Le partite in Europa si giocano in gran parte sulle alleanze. I processi decisionali sono tali che riuscire a trovare anche su un singolo tema più alleati non è semplice. Trovarne su fronti molteplici è ancora più complicato.
È vero che ogni capo di Stato, quando finiscono i summit internazionali, misurerà nella propria capitale l’efficacia della sua azione sottoposta al giudizio delle opinioni pubbliche nazionali. Ma il senso di appartenenza alle organizzazioni comunitarie non può e non deve mai venire meno. Cosa che è sembrata sfumare anche con le critiche alla Bce.
Christine Lagarde, presidente dell’istituto di Francoforte, ha annunciato (non deciso), che a luglio procederà a un aumento ulteriore dei tassi. Alzare i tassi significa togliere risorse e liquidità dal mercato. E il mercato per eccellenza, la Borsa, ha reagito non come ci si sarebbe potuto aspettare, cioè arretrando, ma salendo ancora. Un chiaro indizio di quanto le parole di Lagarde fossero tranquillamente assorbibili. E non così dirompenti, nemmeno per il mercato.
Nonostante questo, il governo si è sentito in dovere di puntualizzare il proprio disaccordo. Assolutamente lecito. La Banca centrale è stata e sarà criticata in futuro. Lo stesso nuovo governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, indicato dal governo, lo ha fatto dentro la Bce e fuori. E anche in maniera schietta, come è nella sua natura.
Ma guai a dimenticare quanto preziosa sia l’indipendenza di Francoforte e quanto abbia fatto e faccia nel sostegno ai Paesi membri dell’Eurozona. Soprattutto per quelli con alto debito. Tanto più che un altro tema dei prossimi mesi sarà la sostituzione proprio di Panetta all’interno del direttorio della Bce se possibile con un’altra italiana o italiano.
Alla vigilia di un meeting internazionale, sottolineare i punti di divisione invece che quelli di accordo, aprire in continuazione nuovi fronti, potrà apparire coerente e identitario internamente; ma il peso che tutto ciò assume attorno a un tavolo di leader di Paesi partner è ben diverso.
Il lavoro che attende oggi il Consiglio Europeo a Bruxelles è complicato dalle vicende legate alla Russia. L’agenda va dall’Ucraina ai migranti, passando per i rapporti da chiarire con la Cina (sia detto per inciso che l’Italia, essendo il primo Paese europeo ad aver aderito alla Belt and Road initiative, dovrà prima o poi far sapere se rinnoverà quel patto o meno). Di Mes, Pnrr, patto di Stabilità, Bce, se ne discuterà informalmente. Tutti ci riguardano da vicino. Stabilire le priorità è decisivo. Contribuisce a rafforzare la credibilità che in questi anni ci siamo guadagnati. Ma si deve aver ben chiaro che è l’affidabilità il primo valore che più rinsalda i legami.

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