Fonte: Corriere della Sera
di Sabino Cassese
La democrazia non è in pericolo e il governo non è commissariato. Ciò che è peculiare è la larghissima ed eterogenea maggioranza. Comunque gli ostacoli sono molti
Il governo Draghi rappresenta un fallimento della politica. La democrazia è commissariata. Bisogna presto tornare al voto. È corretta la diagnosi e giusta la conclusione? La Costituzione non stabilisce che, per far parte del governo, occorre possedere il requisito di parlamentare; basta la cittadinanza italiana. Richiede solo che il governo, una volta nominato, ottenga il consenso del Parlamento con la «fiducia».
Richiede inoltre che la sua successiva azione normativa passi all’approvazione parlamentare e che la sua attività amministrativa si svolga sotto il controllo del Parlamento, che ha un suo «occhio», la Corte dei conti. Con il governo Draghi, le forze politiche non sono uscite di scena, hanno affidato a un gruppo misto di loro appartenenti e di membri della società civile (i «tecnici») il compito esecutivo. Il Parlamento rimane padrone della vita e della morte del governo e delle sue iniziative legislative.
Queste sono le caratteristiche di una forma di governo parlamentare, quella adottata nel 1948, nella quale il popolo sceglie i membri del corpo rappresentativo, e questo, a sua volta, dà il suo consenso al governo. Queste stesse caratteristiche hanno avuto i due governi di questa legislatura, iniziata nel 2018. Essi erano presieduti da una persona non scelta tra i parlamentari, e quindi non eletta, e anche essi avevano circa un terzo di «tecnici». Altri Paesi stabiliscono persino l’incompatibilità tra l’essere membri del corpo rappresentativo e componenti dell’esecutivo. Così gli Stati Uniti, una repubblica presidenziale nella quale la Costituzione contiene una clausola di incompatibilità tra la carica elettiva e qualunque posizione esecutiva. Così anche la Francia, una repubblica semipresidenziale. Insomma, altrove il principio della separazione dei poteri viene applicato rigidamente: se si fa parte del corpo legislativo, non si può far parte di quello esecutivo. Quindi, lì i membri del governo debbono essere necessariamente tutti «tecnici».
La democrazia, scegliendo uomini e donne che non fanno parte del corpo politico, si indebolisce? La democrazia è fatta di molte altre componenti, non solo di elezioni periodiche. Una è la separazione dei poteri. Rousseau pensava che l’esecutivo non dovesse essere nelle mani del popolo. Poi, in democrazia il popolo sceglie chi decide, non decide tramite i suoi rappresentanti. Questi ultimi entrano in una competizione che ha per oggetto il voto popolare (Schumpeter). In terzo luogo, la stessa azione parlamentare deve svolgersi nell’ambito delle Costituzioni, alcune delle quali hanno addirittura norme definite eterne, non emendabili, destinate a durare per sempre. La democrazia in senso stretto è anche corretta dalla diversità della durata nelle cariche, in modo che non tutti i poteri siano nelle mani di una passeggera maggioranza popolare. Poi, le decisioni democratiche sono compensate e rafforzate dalla pluralità di istituzioni democratiche: si vota per scegliere rappresentanti nei Comuni, nelle Regioni, nello Stato e nel Parlamento europeo. Infine, vi sono corpi meritocratici, come i giudici e le autorità indipendenti, che fanno sentire anche essi la propria voce. E uno di questi corpi, la Corte costituzionale, giudica persino la legittimità delle leggi.
Dunque, la democrazia non è in pericolo e il governo non è commissariato. Ciò che è peculiare dell’esperimento avviato ieri è la larghissima ed eterogenea maggioranza che sostiene il governo, una maggioranza che ha più precedenti nella storia repubblicana, tra cui quella che sorresse i governi italiani, fino al terzo esecutivo De Gasperi (1947), detti di unità nazionale, che videro all’opposizione solo un decimo dei parlamentari. Il governo Draghi ne ha avuto una quota anche minore. Il suo successo dipenderà ora dal metodo e stile del governare, e dalla scelta delle politiche. Sarà questa la prova dei fatti.
Gli ostacoli sono molti. Sarà difficile correggere la rotta sbagliata, seguita dal governo precedente, in materia di sanità. Ma sarà possibile stabilire una autentica collaborazione Stato-regioni, senza strappi o oscillazioni dall’una o dall’altra parte. Sarà anche possibile evitare di disorientare una collettività preoccupata, fornendo informazioni complete e tempestive e procedendo speditamente alle vaccinazioni (perché non seguire le «best practices», come quella del Lazio, e perché non vaccinare notte e giorno, per accelerare?). Sarà necessario non fare dell’emergenza un mezzo per garantirsi popolarità, e lasciare parlare anche i tecnici con una voce sola, sotto l’egida dell’Istituto di sanità (perché, altrimenti, si denomina «superiore»?). Non dovrebbe essere difficile, alla luce degli indirizzi europei e di quelli programmatici del nuovo governo, orientare nella direzione giusta il piano di ripresa e di resilienza.
A queste condizioni (che saranno seguite con occhi vigili da una collettività nazionale stremata e da un Parlamento che si è visto, in pratica, nell’anno trascorso, sottrarre la funzione legislativa), si auspica che il governo completi il biennio arrivando alla fine della legislatura (i governi Merkel, anch’essi fondati su coalizioni di forze politiche in conflitto, hanno avuto una durata sette volte superiore).