Fonte: Corriere della Sera
di Sergio Harari
Abbiamo assistito a un vero delirio di proposte terapeutiche per far fronte alla pandemia basate su opinioni di singoli ricercatori, forzature di piccoli studi o supposizioni derivanti da rilievi di ricerca di base senza nessuna validazione nell’uomo. Il tutto alimentato da una politica folle e invadente
Adesso che l’emergenza nel nostro Paese è alle spalle, sarebbe bene sfruttare la quiete dopo la tempesta per un momento di riflessione su quanto è stato. Dall’economia, alle scienze sociali, agli aspetti più affettivi e umani, e naturalmente alla scienza e alla medicina gli argomenti non mancano.
Abbiamo così assistito a un vero delirio di proposte terapeutiche per far fronte alla pandemia basate su opinioni di singoli ricercatori, forzature di piccoli studi o supposizioni derivanti da rilievi di ricerca di base senza nessuna validazione nell’uomo. Il tutto alimentato da una politica folle e invadente, da Trump a Bolsonaro ne abbiamo viste di tutti i colori. Abbiamo assistito alla reclamizzazione di due farmaci, l’idrossiclorochina e l’azitromicina, prescritti da soli o in cocktail come panacea antivirale ma senza alcun solido dato scientifico. Recentemente sono stati molti gli studi negativi pubblicati su questi due farmaci, tanto che anche l’Oms e Aifa si sono mosse per raccomandare cautela, e oggi una ricerca chiarisce in modo netto non solo la loro inutilità ma anche la loro possibile tossicità.
In uno studio sviluppato in molti ospedali brasiliani, appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, 504 pazienti ricoverati per Covid 19 di grado lieve o moderato sono stati divisi in tre gruppi: lo standard di trattamento in uso, lo standard più idrossiclorochina, e lo standard più l’associazione di idrossiclorochina e azitromicina. I pazienti venivano poi valutati dopo 15 giorni secondo una scala che misura le variazioni cliniche. Rispetto alla terapia convenzionale, nei due gruppi di pazienti che assumevano l’antimalarico da solo o in associazione all’antibiotico non si è registrato alcun vantaggio, in cambio però si sono verificate alterazioni della funzionalità epatica e elettrocardiografiche.
È poi di questi giorni la notizia che Aifa ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo per la terapia del Covid 19 di due associazioni di antivirali che nel periodo della pandemia erano state ampiamente prescritte (lopinavir/ritonavir e darunavir/cobicistat), limitandole solo agli studi clinici. Insomma, di tutto quanto si è discusso nei mesi scorsi restano in piedi poche certezze: il cortisone, un antivirale (il remdesivir) ma solo per alcune situazioni cliniche e certo non con risultati miracolosi, e la prevenzione degli eventi trombotici con eparine di basso peso molecolare. Sul plasma iperimmune e sul tocilizumab e altri farmaci simili siamo in attesa delle pubblicazioni di nuove ricerche, anche se sul plasma i risultati preliminari sono stati incoraggianti.
La lezione di questi mesi, influenzati dalla follia di ottiche distorte dalla politica, dai media, dal protagonismo dei singoli ricercatori, dall’urgenza del fare a tutti i costi, con il rischio poi di dimenticare che il primo comandamento in medicina recitaprimum non nocere, è che la ricerca medica ha le sue regole da rispettare sempre e comunque, senza mai cedere a pressioni di alcun tipo.
Abbiamo così assistito a un vero delirio di proposte terapeutiche per far fronte alla pandemia basate su opinioni di singoli ricercatori, forzature di piccoli studi o supposizioni derivanti da rilievi di ricerca di base senza nessuna validazione nell’uomo. Il tutto alimentato da una politica folle e invadente, da Trump a Bolsonaro ne abbiamo viste di tutti i colori. Abbiamo assistito alla reclamizzazione di due farmaci, l’idrossiclorochina e l’azitromicina, prescritti da soli o in cocktail come panacea antivirale ma senza alcun solido dato scientifico. Recentemente sono stati molti gli studi negativi pubblicati su questi due farmaci, tanto che anche l’Oms e Aifa si sono mosse per raccomandare cautela, e oggi una ricerca chiarisce in modo netto non solo la loro inutilità ma anche la loro possibile tossicità.
In uno studio sviluppato in molti ospedali brasiliani, appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, 504 pazienti ricoverati per Covid 19 di grado lieve o moderato sono stati divisi in tre gruppi: lo standard di trattamento in uso, lo standard più idrossiclorochina, e lo standard più l’associazione di idrossiclorochina e azitromicina. I pazienti venivano poi valutati dopo 15 giorni secondo una scala che misura le variazioni cliniche. Rispetto alla terapia convenzionale, nei due gruppi di pazienti che assumevano l’antimalarico da solo o in associazione all’antibiotico non si è registrato alcun vantaggio, in cambio però si sono verificate alterazioni della funzionalità epatica e elettrocardiografiche.
È poi di questi giorni la notizia che Aifa ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo per la terapia del Covid 19 di due associazioni di antivirali che nel periodo della pandemia erano state ampiamente prescritte (lopinavir/ritonavir e darunavir/cobicistat), limitandole solo agli studi clinici. Insomma, di tutto quanto si è discusso nei mesi scorsi restano in piedi poche certezze: il cortisone, un antivirale (il remdesivir) ma solo per alcune situazioni cliniche e certo non con risultati miracolosi, e la prevenzione degli eventi trombotici con eparine di basso peso molecolare. Sul plasma iperimmune e sul tocilizumab e altri farmaci simili siamo in attesa delle pubblicazioni di nuove ricerche, anche se sul plasma i risultati preliminari sono stati incoraggianti.
La lezione di questi mesi, influenzati dalla follia di ottiche distorte dalla politica, dai media, dal protagonismo dei singoli ricercatori, dall’urgenza del fare a tutti i costi, con il rischio poi di dimenticare che il primo comandamento in medicina recitaprimum non nocere, è che la ricerca medica ha le sue regole da rispettare sempre e comunque, senza mai cedere a pressioni di alcun tipo.