22 Novembre 2024
Partito Democratico 1

Partito Democratico 1

Qualcosa non torna, e resta deluso chi pensava che la sconfitta elettorale costringesse a confrontarsi con la realtà

Appena una patina di congresso costituente. Le mozioni dei candidati alla segreteria del Pd sono ricolme di intenzioni e programmi. Ma, come dire, manca l’aria. Si è deciso di aprire le finestre, e di tenerle aperte, ma l’aria fresca non entra. Si ripropone quella mancanza di autenticità, intesa come non fingere, a cui si riferiva Enrico Letta nel suo discorso di commiato all’Assemblea nazionale. E si ripresenta ancora quel velo di ipocrisia e di falsa cortesia con la quale ci si relaziona tra i Dem. Al massimo la sfida si può riassumere così: lui, Stefano Bonaccini, alfiere della sinistra riformista, lei, Elly Schlein, paladina della sinistra movimentista. Palla al centro: oggi si comincia a votare nei circoli fino al 12 febbraio (il 19 per Lazio e Lombardia che hanno in mezzo l’annunciato bagno delle Regionali), e il 26 febbraio gazebo aperti, con le urne per le primarie.
Una partenza che sa di occasione mancata e di paludamento, nonostante le promesse della vigilia. Ormai tutti hanno capito che, la fase delle scelte, comincerà solo dopo l’elezione del segretario. E quindi starà a lui, o a lei, guidare le operazioni, forti del sostegno popolare. Sempre che, come di solito succede nel Pd, in mancanza di chiarezza, il vincente non sia abbastanza forte per imporre la sua linea, e lo sconfitto sia invece abbastanza agguerrito. Temporeggiare insomma, che l’importante è non perdere male, e poi si ricomincia.
All’inizio della fase congressuale c’è stata una sorta di unanimità e il nemico del partito è stato individuato: sono le correnti, i cui capi hanno sequestrato il Pd per i loro interessi, e che ora invece di occuparsi dei milioni di voti persi pensano a dividersi tra chi guarda a Conte e chi a Calenda. Le correnti sono come le talpe: c’è chi voleva (metaforicamente) ucciderle, chi imprigionarle, chi cancellarle. È prevalsa invece la linea più ingenua: sotterrarle vive. Ed è da lì che hanno ricominciato a scavare gallerie, fino a ricongiungersi nel sostegno all’una e all’altro candidato. Qualcosa non torna, si ripropone un rito stanco e già visto, che delude chi pensava che la sconfitta elettorale costringesse, finalmente, a confrontarsi con la realtà.
Ed è così che Stefano Bonaccini si è trovato dalla sua parte una robusta componente renziana, ma anche un altrettanto robusta squadra anti renziana, formata da almeno un quinto degli eletti in Parlamento, di matrice lettiana e con Enrico Letta che mantiene un silenzioso neutralismo. E poi i sindaci: Dario Nardella (Firenze), Roberto Gualtieri (Roma), Stefano Lorusso (Torino), Matteo Ricci (Pesaro). E i governatori: gli spregiudicati Vincenzo De Luca (Campania) e Michele Emiliano (Puglia), e il più ortodosso Eugenio Giani (Toscana). E ancora il capo di Base riformista (ora divisa) Lorenzo Guerini, e umanità varia.
Più complesse le ragioni dello schieramento che alla fine è maturato intorno a Elly Schlein. A sorpresa, e tra i primi, c’è il capo della corrente (ora divisa) di AreaDem, Dario Franceschini. Il più abile tessitore delle partite parlamentari vuole ora una segretaria che rompa gli schemi, scelta che gli attira accuse di gattopardismo. La componente che per comodità si può definire di derivazione post Pci ha a lungo cercato un suo candidato, prima di convergere. Il dubbio che li animava era che fosse troppo aliena, un po’ una sorta di «Tutti da Fulvia sabato sera», la striscia di Tullio Pericoli e Emanuele Pirella che per trent’anni ha irriso la sinistra radical chic, sia sottovalutando la solidità di Elly, sia i cambiamenti che proprio la sinistra ha attraversato. Peppe Provenzano non ha permesso nemmeno che glielo chiedessero, di candidarsi, e si è messo subito al fianco di Schlein. Andrea Orlando ha detto no, come pure Matteo Ricci, che non solo ha rifiutato ma si è schierato con Bonaccini. E anche Vincenzo Amendola ha declinato. L’idea non era tanto quella di vincere, ma di schierarsi con Schlein nella fase due, con un pacchetto di voti capace di condizionarla. Ma il progetto è naufragato e sulla nuova barca sono saliti Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, Andrea Orlando e Nicola Zingaretti, nonché l’amministratore storico del Pci, Ugo Sposetti, che ora si fidano della prospettiva anche per ruoli futuri. E poi le Sardine e altri.
Stefano Bonaccini ed Elly Schlein dicono che delle correnti faranno un sol boccone, e sono persone d’onore, ma il dubbio resta. Perché per ora la sfida tra schieramenti sta prendendo il sopravvento sulla sfida delle idee. Situazione scivolosa per un partito che rappresenta comunque la seconda forza politica del Paese e che ha più che mai bisogno di arrivare a una sintesi, chiudendo il capitolo dell’eterno cannibalismo tra leader e esorcizzando il sempre imminente rischio di scissioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *