Fonte: Corriere della Sera
di Beppe Severgnini
Libertà e memoria vanno insieme. La storia, se non si frequenta, si dimentica
Donald Trump mette in pericolo la democrazia americana? La domanda è sgradevole, ma inevitabile. L’uomo che inveiva, insultava e mentiva in campagna elettorale sta per diventare il 45esimo presidente degli Stati Uniti. È stato detto che la propaganda politica ha le sue regole, per quanto discutibili; e Trump non andava preso alla lettera. L’uomo — scrivevano gli ottimisti — avrebbe presto cambiato atteggiamento. Per ora, non è avvenuto. Donald Trump sta mostrando una preoccupante coerenza. Le sue nomine, i suoi progetti e le sue affermazioni sono in linea col personaggio. L’ultima in ordine di tempo: in un’intervista, alla vigilia dell’insediamento, ha liquidato l’amico di sempre (l’Unione europea) e adulato l’avversario storico (la Russia di Vladimir Putin). Nessun presidente americano l’aveva fatto. Mai. Parlate con amici negli Usa, se ne avete. Scrivetegli. Chiedetegli dei loro figli e nipoti. Scoprirete che per molti ragazzi americani «Trump is fun», il nuovo presidente è divertente. Un prodotto nuovo in un mercato vecchio, niente di più. Il modo in cui tratta le donne, le frasi al confine del razzismo, il disinteresse per l’ambiente: tutto questo, di colpo, sembra non contare più. È incredibile, per chi conosce gli Stati Uniti. Le università dove si chiedeva di vietare Le Metamorfosi di Ovidio — il ratto di Persefone descrive una violenza maschile! — tacciono, davanti alle dichiarazioni, agli atteggiamenti e alle decisioni di Donald Trump.
Sia chiaro. La maggioranza elettorale va rispettata, sempre e dovunque; ma non ha sempre ragione. Non dimentichiamo dove governi democraticamente eletti hanno condotto l’Europa, nella prima metà del XX secolo: nelle braccia di Mussolini e Hitler. Chávez, Putin, Erdogan e Orbán sono stati eletti dai cittadini. Ma Venezuela, Russia e Turchia hanno smesso di essere democrazie; e l’Ungheria, purtroppo, sembra incamminata su quella strada. Può accadere negli Usa? Probabilmente, no. E di certo non nelle stesse forme. Ma è pericoloso abbassare la guardia.
«Incantati da un demagogo per finire in mano a un tiranno: può succedere nelle democrazie occidentali? La risposta è sì», scrive Martin Wolf, commentatore del Financial Times, uno dei più lucidi pensatori europei. Troppo pessimista? Forse. Comunque sia, è bene ricordare questo: i demagoghi seguono binari diversi, ma partono tutti dalla stessa stazione e vanno nella stessa direzione. Se l’elettorato chiede cose rischiose, gliele concedono. Se la maggioranza cede al rancore, non fanno nulla per impedirlo. Se la nazione diventa aggressiva, non cercano di calmarla, tendono ad assecondarla. I nuovi tribuni investono sulla paura. Se c’è, la sfruttano; se non c’è, la creano.
Non dimentichiamo quello che è accaduto in Europa e sta accadendo nel mondo. Libertà e memoria vanno insieme. La storia, se non si frequenta, si dimentica. Nuove generazioni senza cicatrici potrebbero commettere errori drammatici. Gli Stati Uniti d’America, per due secoli campioni di democrazia, sono improvvisamente vulnerabili. Non è un caso che Giappone, Germania, Italia, Spagna e Portogallo si dimostrino meno sensibili alle lusinghe dei tribuni: abbiamo già sbagliato e pagato. E ce ne ricordiamo.
Non è allarmismo, questo: è allarme giustificato. Se rientrasse, ci sentiremmo tutti sollevati. Noi cittadini dell’Unione Europea — che non è «un’astrazione materializzata da un nome», come sostiene uno smemorato Giulio Tremonti — saremmo felici di constatare che le decisioni di Donald Trump sono diverse dalle sue parole. Ma occorre vegliare.
Le democrazie hanno bisogno di sentinelle, non di tifosi.