25 Novembre 2024

È indispensabile che venga spezzata la gabbia d’acciaio dei Trattati fondativi dell’Unione, i quali impongono l’unanimità per qualunque decisione di rilievo. L’Italia prenda un’iniziativa decisa in tal senso

Èvero: tra le principali conseguenze l’aggressione russa all’Ucraina ha avuto quella di rafforzare l’unità d’intenti e di azione tra i Paesi della Nato e dell’Unione europea, l’unità di quello che si chiama Occidente. Oggi l’Occidente appare assai più coeso politicamente di quanto fosse sei mesi fa. Non solo, ma proprio grazie all’aggressione di Mosca esso ha avuto modo di confermare il suo forte e vitale legame storico con Paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda, il Giappone, la Corea del Sud, che da tempo — spesso da sempre — ne condividono i valori di fondo, le prospettive e le strategie negli affari del mondo.
L’Occidente dunque oggi è unito. Ma non bisogna illudersi: è anche solo. Ne è la prova più evidente il fatto che la maggioranza degli Stati del pianeta — e tra questi vi sono Paesi come la Cina, l’India, il Brasile, gli Emirati arabi, l’Egitto, praticamente tutta l’Africa – non ha aderito alle sanzioni contro la Russia.
Certo, Mosca soffre dell’esclusione dai circuiti bancari e dalle esportazioni di tecnologia euro-americani ma nel medio periodo o forse anche prima non le sarà difficile porvi rimedio trovando altrove e in un’altra maniera ciò che non può più avere da noi. Ma non si tratta solo dell’economia: nel mondo l’Occidente è soprattutto solo culturalmente e ideologicamente. Quando Putin — come ha fatto due giorni fa — proclama che «è finita l’era del dominio americano, l’epoca del mondo unipolare è terminata» e aggiunge che non hanno più corso «gli stereotipi imposti da un solo centro decisionale», sia pure a suo modo coglie precisamente questo punto essenziale. Il mondo nuovo che sta affermandosi nelle contrade del pianeta lontane e diverse dalle nostre, i suoi valori, i suoi regimi politici, i suoi modi d’essere, si discostano sempre di più da quelli dell’Occidente.
Se è vero come è vero che la Modernità nella sua versione tecnologica costituisce sempre più la matrice autentica e pressoché unica della cultura dei tempi nuovi, ebbene allora la presenza dominatrice e potenzialmente egemone della Cina in veste di portabandiera di una tale Modernità, segna davvero un decisivo passaggio d’epoca. Al di fuori dell’Occidente, infatti, è tale Modernità made in China, è la sua spregiudicatezza manipolatrice, la sua totale indifferenza rispetto ai valori, quella che appare dettare il codice del futuro. Quella che appare plasmare l’orizzonte sociale e politico sul quale ambiscono muoversi i gruppi dirigenti, i governi, le élite, dei tanti Paesi del mondo che vengono da una storia diversa dalla nostra. A indicare loro la strada, insomma, non è più la Modernità degli Stati Uniti e insieme la nostra, ancora in qualche modo legata ai valori del costituzionalismo liberale, all’idea dei diritti della persona umana, a uno ormai sbiadito ma pur sempre tenace retaggio cristiano-umanistico.
È questa perdita di egemonia sulle vicende del mondo la sfida — si può ben dire di carattere epocale — che oggi più che mai deve affrontare l’Occidente. Ma in suo nome soprattutto l’Europa. L’Europa, benché alleata indefettibile degli Stati Uniti ha però una sua identità diversa, nutrita di una maggiore profondità storica, più variegata e duttile, priva nel complesso del corrusco volto imperiale e talora imperialistico di quelli. Un’identità che se essa volesse le permetterebbe senz’altro di svolgere specialmente in Medio Oriente e in Africa — divenuta una comoda terra di conquista per gli appetiti di ogni genere di Pechino — un’efficace opera di contrasto anticinese e antirussa. Le consentirebbe senz’altro di esercitare su vasta scala un’influenza economica, una penetrazione culturale, di svolgere una politica di scambi di persone e di istituzioni scientifiche, capaci di rappresentare un solido punto di riferimento (anche sul piano militare, sì militare: guai a fare le anime belle su questo argomento) per le élite di quei Paesi. In tutti questi modi cercando di far penetrare in esse anche i valori politici dell’Occidente.
L’Occidente non è solamente gli Stati Uniti, come crede la maggior parte del mondo. Tale appiattimento su Washington oggi rappresenta il massimo elemento di debolezza politica dell’Occidente stesso, una vera e propria arma propagandistica consegnata nelle mani dei suoi avversari. È dunque assolutamente necessario che tale immagine sia modificata: il che può accadere però solo se in primissima fila vi è anche l’Europa. Solo a questa condizione la comunità di Paesi che si raccoglie sotto il nome di Occidente potrà ambire a svolgere in futuro ancora un ruolo di ambito mondiale. Solo se vi sarà questa comune opera di egemonia tra Europa e Stati Uniti la vittoria non sarà degli «altri».
Ma per far ciò l’Europa deve esistere, deve apparire una forza trainante, non trainata: deve esistere come soggetto politico a pieno titolo. È dunque indispensabile che venga spezzata la gabbia d’acciaio dei Trattati fondativi dell’Unione, i quali impongono l’unanimità per qualunque decisione di rilievo, pertanto anche per quella di muovere nella direzione ora detta. È un momento cruciale. Perché allora l’Italia non prende lei un’iniziativa decisa in tal senso, non muove lei un primo passo? Una personalità come quella di Mario Draghi oggi alla testa del nostro governo ha l’autorità internazionale, l’ascolto, le relazioni, per tentare una simile azione; e agli Esteri oggi lo coadiuva un ministro, Luigi Di Maio, che senza esitazioni si è schierato dalla parte giusta e appare dotato di tutta la risolutezza necessaria. Non solo, ma nell’avventurarsi su una tale strada tutto lascia credere che entrambi potrebbero godere della simpatia e dell’alta tutela della figura del presidente della Repubblica, di Sergio Mattarella, che più volte ha fatto capire da che parte stanno il suo cuore e la sua mente. È una situazione a suo modo irripetibile. Perché non approfittarne?

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