25 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Paolo Valentino

Dopo il compromesso di luglio, è in Europa che deve affrontare la battaglia più dura


«E come posso dire d’esser sola/se tutto il mondo è qui che mi contempla», dice Elena a Demetrio nel «Sogno di una Notte di Mezza Estate». Il verso shakespeariano coglie bene il paradosso in cui si trova Angela Merkel in Germania, in Europa e nella scena globale. Domenica la signora di Berlino ha celebrato i 15 anni della sua elezione a cancelliera, ma è anche entrata nella dirittura finale della sua lunga stagione al potere. Manca meno di un anno alla data in cui lascerà per sempre il Kanzleramt, dopo aver eguagliato il record di Helmut Kohl. Merkel è ormai un gigante imprescindibile della scena politica tedesca, europea e mondiale. Nulla si muoverà nei prossimi mesi senza la sua leadership e la sua capacità di forgiare compromessi. Eppure, Merkel è un gigante solitario, costretta a caricarsi sulle spalle tutte in una volta le sfide più complesse della sua carriera politica. L’anno che verrà sarà il più difficile di tutta l’era-Merkel e quello più carico di conseguenze per tutti.
La pandemia, in primo luogo, durante la quale la cancelliera ha guidato il Paese con mano ferma, senza mai cedere alla demagogia, evitando alla Germania il triste bilancio di altri Paesi europei. La seconda ondata la vede però sempre più assediata dai premier regionali e sempre più sola nel ruolo di madre severa della nazione. Ieri Merkel ha annunciato il prolungamento del lockdown soft oltre la data del 2 dicembre, ma è destinata a continuare la sua lotta contro coloro che vorrebbero prescindere dai dati scientifici obiettivi in nome di una linea più morbida con meno restrizioni. Libera dalla preoccupazione di essere rieletta, la cancelliera si muove seguendo unicamente l’etica della responsabilità, il che la mette in contrasto con la folla dei politici costretti a tener conto dei sondaggi. Che per adesso danno ragione a lei: il 75% dei tedeschi approva il suo operato.
È però in Europa che Merkel deve affrontare la battaglia più dura. Dopo lo storico compromesso di luglio, con l’approvazione del Next Generation Eu da 750 miliardi di euro, l’Unione è di nuovo paralizzata, presa in ostaggio da Ungheria e Polonia, che rifiutano la condizionalità del rispetto dello Stato di diritto nell’erogazione dei fondi europei. La cancelliera sente una doppia responsabilità: quella che le viene dalla presidenza di turno dell’Ue e quella legata alla definizione della sua legacy politica, un’Europa finalmente solidale che il Recovery fund renderebbe irreversibile. La sua solitudine consiste nel fatto che solo lei tra i capi di governo può vincere questa battaglia, trovando la pazienza e gli argomenti (anche quelli più prosaici) per convincere Viktor Orbán a rinunciare al suo veto. Col premier ungherese, infatti, Merkel ha in comune tante cose quante quelle che li dividono. Sono i due leader dell’Ue più a lungo in carica. Si conoscono bene e si stimano, anche se nei colloqui privati non si fanno mai concessioni. Vengono entrambi dall’Est ex sovietico e questo crea una comune memoria e sensibilità: in fondo se il movimento ungherese, di cui Orbán fu uno dei protagonisti, non avesse aperto la Cortina di ferro nel 1989, non ci sarebbe mai stata una cancelliera Merkel. Non ultimo, hanno avuto lo stesso mentore, Helmut Kohl. Nonostante questo, sull’Europa li divide tutto. In primo luogo, l’idea della democrazia, che per Merkel non ha aggettivi, mentre Orbán teorizza e pratica solo quella «illiberale».
La terza sfida destinata a complicare il lungo addio di Angela Merkel, esaltandone la solitudine, è la ricostruzione dei rapporti transatlantici, dopo il disastro della presidenza Trump. È a lei e solo a lei, che il presidente-eletto Joseph Biden guarda come riferimento cruciale per aprire una nuova stagione tra America ed Europa. Che tuttavia non sarà affatto facile e scontata. Sarà di nuovo un dialogo tra amici e alleati, segnato da passi simbolici e importanti come il ritorno degli Usa negli accordi di Parigi sul clima. Ma nessuna delle questioni sollevate da Trump, nel suo isolazionismo contrattualistico e aggressivo, si risolverà da sola, dalle spese militari degli europei, ai rapporti con la Cina. Toccherà ad Angela Merkel trovare il giusto punto di equilibrio e spingere la Germania e l’Europa a prendere in mano il proprio destino, dentro una nuova e più matura alleanza con gli Stati Uniti. Poi verrà il tempo degli addii. E sicuramente la rimpiangeremo.

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