Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
Si è registrato il salto di qualità che si temeva: dal massacro degli «infedeli» sparando nel mucchio all’assassinio mirato degli uomini-simbolo dell’odiata cristianità occidentale. È purtroppo logico che i religiosi, anche europei, siano un bersaglio
È il salto di qualità che si temeva: dal massacro degli «infedeli» sparando nel mucchio all’assassinio mirato degli uomini-simbolo dell’odiata cristianità occidentale. Non si era ancora spento il rumore per l’attentato del giovane affiliato dello Stato Islamico in Germania che un paio di islamici radicali va a sgozzare un sacerdote e un’altra persona in una chiesa cattolica francese. È purtroppo logico, è nella logica della guerra santa islamica, che i religiosi cristiani, anche europei, siano un bersaglio. Per chi ha scelto di appartenere a quel mondo non ha alcuna importanza che l’Europa sia ormai il luogo più secolarizzato della Terra, che molte chiese siano deserte, che i seminari possano sopravvivere soprattutto grazie all’afflusso di giovani cristiani dalle regioni extraeuropee, o che tanti fra i cosiddetti infedeli europei massacrati non frequentino chiese, siano atei, agnostici o cristiani di fede molto tiepida. In un certo senso, i jihadisti hanno ragione: perché, pur quasi scomparsa dalla coscienza di tanti europei, forse la maggioranza, la religione cristiana ha comunque forgiato il mondo europeo e occidentale.
Anche se molti europei non possiedono più gli strumenti per comprenderlo, le categorie culturali che essi usano derivano da quella tradizione. La mattanza dei cristiani (colpevoli di aderire a una religione occidentale) per mano di estremisti islamici dura da tanti anni in tanta parte del mondo. Ma ancora poco tempo addietro, l’Europa credeva, sconsideratamente, di essere immune dagli attacchi della cristianofobia islamista.
Come di consueto in questi casi, le prime agenzie di stampa sull’attacco alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, hanno subito ipotizzato che i due aggressori, inneggianti a Daesh, fossero persone «afflitte da problemi mentali». Poi, quando è venuto fuori che uno dei due era schedato come estremista islamico, il tema, diciamo così, «psichiatrico», è stato messo (provvisoriamente?) da parte. Sarebbe ora di finirla. È assai probabile che se uno si vota all’assassinio di persone inermi sia affetto da gravi tare. O vogliamo forse dire che colui che entrava nelle SS per il gusto di commettere omicidi o il bolscevico che scannava contadini ricchi o tutti quelli che il Partito definiva nemici, o la guardia rossa impegnata in azioni criminali per conto di Mao Tse Tung, fossero persone serene ed equilibrate? È difficile che lo fossero. Ma ciò non permette di occultare il rapporto fra le loro azioni e il totalitarismo. Non si può fingere che nazismo e comunismo non c’entrassero niente.
Allo stesso modo, dire che il tale o talaltro jihadista ha problemi mentali non consente di negare il legame che c’è fra la sua azione e la guerra dichiarata dall’islamismo radicale contro l’Occidente. Con l’eccezione del tedesco-iraniano della strage di Monaco, qui sono sempre in gioco problemi politici, militari, di sicurezza, non le mancate cure psichiatriche. L’unica vera novità è che oggi il web, rendendo istantanee le comunicazioni, consente alla propaganda violenta di diffondersi molto più rapidamente di un tempo,di suggestionare con assai maggiore efficacia gli psicolabili in cerca di nobili motivi per ammazzare il prossimo. L’estremismo islamico ci sguazza. La si giri come si vuole ma questo è il problema.
Mentre l’islamismo estremista in Francia «vota a destra», lavora per favorire la vittoria di Marine Le Pen alle Presidenziali dell’anno prossimo, i politici europei «per bene» ci mettono del loro per garantirsi future sconfitte politiche, riempiendo l’aria di parole senza senso. Come la pietosa bugia secondo cui, siccome i terroristi islamici ce l’hanno con le nostre libertà (e questo è sicuro), noi dobbiamo non fare arretrare di un millimetro il perimetro di quelle libertà. Ma è impossibile. Per fare il primo e più ovvio esempio, è molto probabile che la libertà pressoché totale di cui ha sempre goduto il «popolo della Rete» stia per trasformarsi in un ricordo. Constatato che il web è, al pari dei coltelli e degli esplosivi, un’arma da combattimento utilizzata dagli estremisti islamici, diventeranno sempre più estesi, stringenti e capillari i controlli per bloccare la circolazione di messaggi jihadisti. Con inevitabili ricadute negative sulla più generale libertà di comunicazione. Lo stato di emergenza è stato dichiarato in Francia perché così prevede la Costituzione. Ma è probabile che forme non dichiarate, non formalizzate, di stato di emergenza si affermino un po’ ovunque in Europa. Saranno le opinioni pubbliche ad esigerlo.
Un’Europa sotto attacco dopo settanta anni di pace ininterrotta è costretta a cambiare tutti i suoi criteri di giudizio. Per esempio, non sarà più possibile fare previsioni economiche senza mettere in conto gli effetti psicologicamente devastanti dell’aggressione terrorista.
C’è un problema per le classi politiche che devono affrontare l’emergenza. C’è un problema per gli intellettuali, molti dei quali ancora impantanati, quando si parla di Islam, nelle trappole del politicamente corretto. E c’è un problema per le Chiese cristiane, quella cattolica in primis. L’impressione è che, per ragioni essenzialmente geo-religiose, una parte della Chiesa (non tutta certamente) si sia rassegnata a dare per perduta l’Europa secolarizzata, ad assumerla come definitivamente dimentica della sua tradizione cristiana, e che per questo stia scommettendo su altre aree del mondo. Perdendo di vista il fatto che un Cristianesimo che allentasse troppo i suoi legami con l’Europa diventerebbe molto diverso da ciò che è stato. Se questa impressione fosse esatta, allora bisognerebbe dire che quella parte della Chiesa starebbe commettendo un grave errore. L’attacco di Saint-Etienne-du-Rouvray dovrebbe aprirle gli occhi.