22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Andrea Canino

La lezione del debito cancellato ai tedeschi nel 1953


Caro direttore, la principale minaccia del Covid-19 all’Unione Europea non è data dall’aggressività del virus ma dalla presenza di pregresse patologie che ne hanno debilitato l’organismo. Esse sono il frutto dei costanti compromessi al ribasso, che da vent’anni hanno caratterizzato molte scelte dell’Unione. Piaga che è ben più il risultato dei veti degli Stati membri che della bistrattata amministrazione comunitaria capace di fare, in fin dei conti, solo quel che le si dice di fare. La situazione in cui ci troviamo dall’ultimo Consiglio europeo del 26 marzo — nonostante la tenacia del presidente Michel e le nostre proposte — ne è esempio perfetto. È stupefacente che alcuni leader continuino a credere che si possa curare l’Europa con la stessa ricetta che l’ha debilitata.
Se vogliamo evitare l’implosione, dobbiamo ora introdurre un profondo cambio di terapia. Di fronte alla sfida del Covid-19, il solo vaccino efficace per l’Ue è un ambizioso disegno collettivo che, come per gli accordi del 1953 sul debito tedesco, sia costruito sui vantaggi da conseguire a medio termine assieme e non sulla minimizzazione delle concessioni in materia di rispettive ossessioni nazionali.
Per riuscire in un tale ambizioso progetto gli altri membri del Consiglio europeo e Giuseppe Conte sono di fronte a tre grandi sfide: avere il coraggio di ammettere la verità, abbandonare la nostra assurda ingenuità e varare un progetto comune, che sia in misura di vincere le sfide globali del XXI secolo.
Il coraggio di ammettere la verità ricopre tre aspetti: smettere di dare la colpa dei nostri errori e debolezze agli altri, ciò tanto a livello europeo che extra-europeo, e riconoscere che i veti incrociati tirano l’Europa verso il baratro. In primo luogo la pessima abitudine delle classi dirigenti nazionali di fare di Bruxelles il capro espiatorio di tutti gli errori è stato un boomerang che ha alimentato la crescita dei populisti. Ad esempio i sondaggi indicano che in due Paesi tradizionalmente pre-europei come l’Italia (85%) e la Spagna i cittadini si sono sentiti abbandonati dall’Unione nella crisi del Covid-19… perché l’Unione non ha competenze sanitarie. Se le avesse avute le cose sarebbero andate certo meglio e non avremmo assistito alla Babele delle misure dei vari Stati membri che nel panico hanno sacrificato: Schengen, mercato interno e quasi l’euro. Certo, la Commissione ha messo troppo tempo ad accorgersi del Covid-19, ma questo è un altro dibattito.
In secondo luogo, verità vuol dire smetterla di addossare la colpa del nostro declino ad altri. Che senso ha accusare gli Usa di avere un sistema troppo flessibile, quando questo sistema ha permesso in vent’anni all’indice di riferimento di Wall Street, S&P500, di valorizzarsi quasi di una volta e mezza, mentre il nostro Eurostock 50 è calato, nello stesso periodo, di circa il 40%? Che senso ha accusare la Cina di voler dominare il mondo, quando gli abbiamo lasciato essere i grandi vincitori della mondializzazione? Invece di piangerci addosso dovremmo rimboccarci le maniche e prendere dagli altri ciò che hanno di migliore.
In terzo luogo, verità è ammettere che i veti incrociati sono una forma di suicidio. Ad esempio i «liberali» ci hanno impedito di avere una politica industriale mentre i «corporativisti» hanno impedito il completamento del mercato interno, due spine dolorosissime per l’Ue.
Seconda grande svolta indispensabile alla rinascita europea, è di abbandonare la nostra sconcertante ingenuità. Anche qui l’esperienza del Covid-19 insegna. Si raffronti, ad esempio, il nostro assordante silenzio sugli aiuti europei alla Cina all’inizio dell’epidemia, con la propaganda di Pechino sugli «aiuti» inviati in Europa, che spesso sono state semplici vendite di materiale. Se vogliamo ritornare protagonisti dobbiamo smetterla di riservarci la parte dell’erbivoro in un copione dove tutti gli altri attori sono carnivori.
Infine e soprattutto, da tempo si scrive troppo sul ritorno degli Stati nazione, allorché principale strumento di assicurare ai nostri concittadini un futuro libero e prospero resta l’Europa. La crisi del Covid-19, e tanti altri elementi dell’attualità mondiale, ci hanno ricordato brutalmente che le grandi sfide del XXI secolo sono globali.
Ciò è incontrovertibile almeno per sette politiche essenziali: gestione delle crisi sanitarie, cyber sicurezza, difesa, migrazioni, clima, ricerca, rimpatrio delle produzioni strategiche e protezione e radicamento delle aziende leader. Visto che — ci piaccia o meno — il mondo resterà globalizzato, non si possono ingannare i nostri concittadini sul fatto che in Europa tali grandi sfide possano essere vinte dai nostri Stati nazionali. Sostenere il contrario, non solo è ingannevole, ma ci condanna a un mondo bipolare dove saremmo vassalli della Cina e degli Usa.
Ma ciò che è ancora più importante è di ritrovare fiducia e spirito costruttivo uscendo dalla mediocrità dei compromessi al ribasso, come quello dell’Eurogruppo del 9 aprile, che restano insufficienti. Di fronte a Paesi in ginocchio non per aver peccato di lassismo ma per eccesso di rigore con i propri sistemi sanitari in obbedienza ai parametri di Maastricht, siamo solo stati capaci di mobilizzare un terzo dei fondi raccomandati dalla Bce e di barattare l’allentamento dei criteri del fondo salva Stati con l’occultamento della condivisione del debito.
A tale proposito non si capisce perché gli Eurobond siano stati assunti a disputa ideologica, allorché devono restare quel che sono: degli strumenti finanziari. Come tutti gli strumenti finanziari si giustificano, per gli investitori, se generano redditi attrattivi. Pertanto non ha senso discutere dello strumento di per sé, ma occorre valutare il progetto da finanziare.
Cancellando metà del debito tedesco nel 1953 gli altri Paesi europei ebbero la convinzione che questo gesto tanto generoso si sarebbe tramutato in grandi benefici per tutti. Se l’Europa vuole vincere le sfide del XXI secolo, è suo interesse mettere nel miglior ordine di battaglia possibile tutti i suoi membri, ma i Paesi martoriati dal Covid-19 devono far in modo che i loro partner si sentano nello stesso stato d’animo di quello che permise gli accordi del 1953.
Per convincere gli Stati scettici, per riconquistare la fiducia della gente, il Consiglio europeo — come vero luogo della determinazione della volontà comune degli Stati membri — deve essere capace di adottare un progetto ambizioso e sostenibile per vincere le sette grandi sfide del XXI secolo e mettere in comune di mezzi all’altezza della sua realizzazione. E questo che noi cittadini, è questo che noi imprese ci aspettiamo.

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