Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Gaggi
Dai fatti alternativi al cambiamento in corsa della realtà. Trump sta rivoluzionando il modo di fare politica della Casa Bianca e di comunicare: dagli spregiudicati tweet alle affermazioni prive di fondamento che la sua consigliera Kellyanne Conway cercò di legittimare definendole, appunto, «fatti alternativi». Ai giornalisti, abituati a considerare fatti acquisiti le dichiarazioni ufficiali dalla Casa Bianca, manca la terra sotto i piedi: prima di analizzarla, ogni affermazione va sottoposta a molteplici verifiche. Ma in un caso grave, quasi senza precedenti, come quello del licenziamento del capo dell’Fbi, la Casa Bianca è riuscita a superarsi dando una versione dei motivi della defenestrazione di James Comey che appare subito poco credibile e cambiandola il giorno dopo.
Trump afferma di aver deciso di licenziare Comey su consiglio del ministro della Giustizia Jeff Session e sulla base di una relazione scritta del suo vice, Rod Rosenstein: ma la storia non sta in piedi. Rosenstein è un tecnico approdato da pochi giorni nel governo Trump e nel suo rapporto accusa Comey di aver danneggiato Hillary Clinton durante la campagna elettorale. Surreale: danni che gli erano valsi gli elogi di The Donald. La stampa si mobilita per dimostrare che la cacciata è dovuta al timore del presidente che l’Fbi voglia andare a fondo sul Russiagate: i suoi presunti rapporti con Mosca. Fonti anonime del governo e del partito repubblicano confermano che da tempo il presidente medita questa mossa contro un funzionario di cui non si fidava più; Comey aveva appena chiesto al ministro della Giustizia più uomini per allargare l’indagine sui rapporti con la Russia.
Non c’è bisogno di scavare troppo perché il giorno dopo la Casa Bianca cambia versione. Il portavoce non c’è (ufficialmente richiamato per qualche giorno in servizio come riservista della Marina) e la sua vice dice altro: «Il presidente aveva perso fiducia in Comey, voleva metterlo alla porta fin dal suo insediamento alla Casa Bianca» ed era furioso per i leak, gli spifferi usciti dall’Fbi che il suo capo non riusciva a fermare. Quanto a Rosenstein la nota «spontanea» in realtà è stata scritta su richiesta di Trump. Poi arriva la solita Kellyanne a seppellire la versione iniziale della Casa Bianca: «La campagna elettorale non c’entra niente, Comey è andato via per quello che ha fatto da quando Trump è alla Casa Bianca». Così è, se vi pare.