Fonte: Corriere della Sera
di Dario Di Vico
Saranno gli elettori ora a doversi caricare del difficile compito di ricomporre con le loro scelte la scissione tra economia e politica che rischia di spingerci ai margini dell’Europa
A pochi giorni dal voto europeo le ragioni dell’economia sono tornate prepotentemente in primo piano. È accaduto non per la capacità dei partiti di governo di raccontare la verità agli elettori o per l’abilità delle forze d’opposizione e delle parti sociali di riscrivere l’agenda delle priorità dell’esecutivo, ma per la scelta deliberata di Matteo Salvini di portare la competizione del consenso con i Cinque Stelle all’estremo. Fino a minacciare di sfondare il muro del 3% del rapporto deficit/Pil, come gli chiedono da tempo gli intransigenti esponenti No-euro presenti nei suoi ranghi. Le conseguenze sono state immediate e lo spread è tornato ai livelli del dicembre scorso attorno a quota 290. Qualche analista si spinge a ipotizzare che i mercati non abbiano solo voluto reagire alle dichiarazioni del vice premier ma chiedano anche chiarezza del quadro politico, stufi del populismo a due piazze auspicherebbero quantomeno maggioranze omogenee. Di sicuro la parola ora passa agli elettori che si dovranno caricare del difficile compito di ricomporre con le loro scelte d’urna quella scissione tra economia e politica che rischia di spingerci ai margini dell’Europa.
Visto che parliamo di elettori vale la pena ricordare come nei sondaggi rivolti a classificare le preoccupazioni degli italiani l’occupazione sia sempre al primo posto, seguita dal welfare e solo dopo dal tema dell’immigrazione. Ma mentre quest’ultima issue ha trovato proprio in Salvini il leader capace di semplificarla in una parola d’ordine comprensibile a tutti («chiudiamo i porti») e poi di capitalizzarla a livello di preferenze politiche, i temi dell’occupazione e del welfare (o protezione sociale che dir si voglia) non hanno incrociato risposte all’altezza. La cultura del Movimento 5 Stelle fatica a darle perché, mentre nella richiesta degli elettori sviluppo e protezione sociale si sommano, i post-grillini pensano ancora di mettere assieme assistenzialismo e sudditanza ai No Tav. Quanto all’opposizione e ai corpi intermedi, che in teoria dovrebbero essere più attrezzati nella lettura delle contraddizioni delle economie moderne, non ci sono riusciti per carenze vuoi di leadership vuoi di concretezza programmatica.
Chi vuole in questa tormentata stagione della storia italiana riconnettere economia e politica e aprire un vero varco nel consenso dei partiti populisti deve infatti saper sommare le inquietudini di Main Street e i timori di Wall Street. La nostra Strada Principale sta nelle preoccupazioni degli italiani per il lavoro o l’emigrazione dei figli, nelle incerte prospettive delle imprese che operano sul mercato interno, nel risparmio congelato nei conti correnti e persino nella paura delle tecnologie. La nostra Wall Street rimanda invece ai parametri di Maastricht e al soffocante peso del debito. In Italia purtroppo non c’è un Partito del Pil capace di connettere queste due istanze, di tradurle in un programma semplice ma coerente. Analizzando le manifestazioni pro Tav di Torino dei mesi scorsi si era sperato che qualcosa del genere fosse nato e che fosse capace, strada facendo, di allargare la propria visione oltre il dossier infrastrutture. Purtroppo non è stato così, le ragioni dell’economia – almeno fino a ieri – sono rimaste fuori dalla campagna elettorale e i giovani leader della comunicazione h24 hanno avuto buon gioco nell’occupare la scena con i loro litigi, veri o falsi che siano.
Al netto del risultato elettorale e dei suoi effetti sul quadro politico quel che appare certo è che la seconda parte del 2019 non promette niente di buono. I nodi di finanza pubblica si intrecceranno giocoforza con il rallentamento dell’economia reale. Di ripresa infatti se ne vede ben poca, già il Pil del secondo trimestre dovrebbe tornare in territorio negativo e i provvedimenti giallo-verdi come quota 100 e reddito di cittadinanza si saranno rivelati incapaci di produrre crescita. E a quel punto, forse, si aprirà un nuovo capitolo della percezione che gli italiani hanno del legame tra la loro condizione e lo stato di salute del Paese. E vedremo che risposte la politica saprà dare.