19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Vaelntina Iorio

La pandemia ha penalizzato alcuni settori più di altri. Questo ha determinato forti asimmetrie che potrebbero protrarsi nel tempo. Inoltre ha accelerato una serie di trasformazioni, dallo smart working all’automazione dei processi produttivi


L’effetto acceleratore della pandemia
La pandemia di Covid-19 ha spinto l’economia globale nella peggiore recessione dopo la Seconda guerra mondiale. Lo sviluppo dei vaccini e le politiche di sostegno favoriranno la ripresa, che però sarà a velocità diverse. Il coronavirus, infatti, non ha colpito allo stesso modo tutti i Paesi e anche le risposte alla crisi sono differenti. «La pandemia tra dieci anni probabilmente sarà vista come un acceleratore di un cambiamento che era già in atto. Però l’accelerazione c’è stata e la vedremo», afferma Vincenzo Galasso, professore ordinario di economia politica all’Università Bocconi di Milano.

L’esplosione del debito pubblico
Alla fine del 2020 il debito globale è schizzato a 281 mila miliardi di dollari (circa 235 mila miliardi di euro), ovvero il 355% del Pil mondiale. Per far fronte alla pandemia governi, imprese e famiglie hanno accumulato debiti per 24 mila miliardi di dollari, secondo le stime dell’Institute of International Finance (Iif) di Washington.

Il debito societario e le moratorie
La pandemia ha fatto aumentare esponenzialmente anche i debiti societari. Le risorse mobilitate da governi e banche centrali in tutto il mondo hanno contribuito a mantenere la situazione sotto controllo. «Tuttavia la situazione delle imprese va monitorata, soprattutto in Italia – dice la professoressa Carletti – .Anche perché le imprese sono chiamate a fare dei cambiamenti, sia per la situazione che stiamo vivendo sia perché il Recovery Plan li richiede. Per farli però servono soldi per investire».

Le asimmetrie fra i settori
Il Covid-19 ha stravolto l’economia, ma non tutti sono stati colpiti allo stesso modo. «Questa crisi è stata uno shock settoriale, a differenza delle precedenti. Quindi alcuni settori, come il turismo, sono stati colpiti indipendentemente dalla produttività delle imprese», spiega il professor Galasso. «Questo è molto problematico dal punto di vista degli aiuti che sono settoriali e quindi non consentono di discernere tra aziende che erano già sul bordo del fallimento e aziende che invece andavano bene».

Due scenari possibili
Uno studio dello Us Bureau of Labor Statistics, ripreso da Lavoce.info, ha cercato di individuare quali saranno i settori che dovranno affrontare cambiamenti di lungo periodo, se non permanenti. Secondo l’analisi, in uno scenario «moderato», nel quale l’aumento dello smart working è la causa trainante del cambiamento, il bisogno di spazio per gli uffici diminuirebbe, facendo crollare la domanda dell’edilizia non residenziale. Diminuirebbero gli spostamenti e con essi i costi del pendolarismo, dei viaggi d’affari e la spesa per i ristoranti in pausa pranzo.

Più automazione
Un altro degli effetti della pandemia è l’aumento della digitalizzazione, sia sul fronte dello smart working e della didattica a distanza che su quello degli acquisti. «Quello che sta succedendo ci porterà verso una maggiore automazione perché abbiamo tutti iniziato a usare di più il digitale. La pandemia ci ha fatto perdere molte remore su questo fronte», osserva il professor Galasso. «L’automazione però è diventata una fonte di grande disuguaglianza. Rischia di distruggere posti di lavoro senza ricrearne tanti altri, ma soprattutto senza creare posti di lavoro buoni».

Smart working
Il coronavirus ha costretto la maggior parte delle aziende e dei lavoratori a misurarsi con lo smart working. Per molti lavoratori si tratta di una soluzione temporanea ed è probabile che, una volta superata l’emergenza, rientreranno in ufficio. Tuttavia alcune aziende iniziano a vedere il lavoro agile come un cambiamento strutturale, almeno per una parte dei loro dipendenti.

La dualizzazione del mercato del lavoro
Nel mercato del lavoro la pandemia ha acuito la frattura tra insider e outsider. «Lavorando in smart working chi aveva già un network ben delineato è stato avvantaggiato. Se io sono una persona giovane che non ha molti contatti o sono una start up che sta cercando di sviluppare un’idea è chiaro che sono tagliato fuori», spiega il professor Galasso.

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