20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Francesco Verderami

Conte ha smesso i panni del «mediatore», facendo sulla Tav una scelta di campo grillina. Ora Salvini dovrà rispondere al suo elettorato di riferimento

Lanciati a tutta velocità verso l’orlo del precipizio, per mesi Di Maio e Salvini si sono sfidati sulla Tav a chi avrebbe frenato per ultimo. Contando sul fatto di non aver rivali, immaginavano di proseguire così fino alle Europee per dividersi i consensi, perpetuando la logica del rinvio come forma di mediazione nel governo. Il quadro politico è però mutato e la competizione sembra coglierli impreparati a gestire oggi l’ennesimo conflitto. L’idea di drammatizzare il muro contro muro servì nei giorni della Finanziaria per giungere a un compromesso di necessità sui «numerini», ma sulla Tav Conte ha smesso i panni del «mediatore», operando una scelta di campo grillina. E adesso a Salvini, pressato a sinistra da Zingaretti e a destra da Berlusconi, tocca dare risposta al suo elettorato di riferimento.
Finora il leader della Lega è parso il vero dominus della coalizione gialloverde. Ce n’è la prova, oltre che nelle percentuali dei sondaggi, anche e soprattutto nella sfera degli affari di potere, nelle scelte delle nomine: è una condizione che gli ha consentito di svolgere il ruolo di premier dalla poltrona del Viminale. Ma così il rapporto con Di Maio si è sbilanciato, ed è emerso il peccato originale di un’alleanza tra forze diverse che hanno usato il «contratto» come alibi per non mostrare l’incapacità di arrivare a una sintesi. Basta osservare i banchi del governo in Parlamento, dove quotidianamente i rappresentanti di M5S e della Lega si danno il cambio a seconda dei provvedimenti in esame, per avere la testimonianza plastica del distacco.
È da vedere se la Tav sarà l’accelerante della crisi, o se sarà un elemento che servirà a farla detonare dopo il voto per le Europee. Ma per arrivare a maggio c’è ancora troppa strada, e se Di Maio ha deciso di arroccarsi pur di tenere unito il Movimento, Salvini faticherà ad assecondarlo perché deve fornire garanzie ai suoi governatori del Nord e non può farsi accerchiare dal nuovo segretario del Pd e dal vecchio alleato di Forza Italia: Zingaretti da un lato mira a contendergli il consenso del mondo produttivo e dell’imprenditoria settentrionale; Berlusconi dall’altro lo invita a ritornare nei ranghi del centrodestra, offrendogli la leadership a mo’ di sfida, nel tentativo di riconquistare un pezzo del suo elettorato che era passato con la Lega.
Il ministro dell’Interno vede avvicinarsi il bivio forse in anticipo rispetto al timing che aveva programmato. L’idea di Conte di allungare i tempi sulla Tav, appoggiando di fatto la linea grillina, potrebbe minare il disegno di Salvini, che in vista delle urne vedrebbe indebolita la sua immagine e il suo appeal presso l’opinione pubblica. Il puzzle non è facilmente componibile e il gioco sembra essere sfuggito di mano a Palazzo Chigi, tra contraddizioni e reticenze dello stesso presidente del Consiglio. Ieri infatti Conte ha voluto rivendicare la «credibilità del governo», nel giorno in cui il governo ha messo a repentaglio la credibilità internazionale dell’Italia, che sulla Tav è stata richiamata al rispetto degli accordi dalla Francia. Quella Francia che i vice premier avevano preso di mira e alla quale gli stessi vice premier ora si appellano per cambiare gli accordi.
Stavolta però non basterà un escamotage tecnico per coprire i problemi politici. Ed è Salvini il più esposto, tocca a lui scegliere. Se è vero, come sostiene, che «il governo durerà cinque anni», vorrà dire che correrà il rischio dell’accerchiamento sulla Tav, accettando l’impostazione di Di Maio e firmando insieme a lui la prossima Finanziaria draconiana. In tal caso M5S e Lega non andrebbero alle urne nella primavera del 2020: non si rastrellano 30 miliardi e passa nelle tasche dei contribuenti, per chiedere subito dopo il loro suffragio. A quel punto i due leader sarebbero costretti a stracciare il «contratto» per costruire una vera alleanza politica. Nella consapevolezza però che — dai tempi della Seconda Repubblica — il governo logora chi ce l’ha e che nessuna coalizione è riuscita poi a riaffermarsi alle elezioni.
Ma è questo il vero obiettivo di Salvini? A differenza dei grillini, che sono insidiati a sinistra dal ritorno del Pd, il capo del Carroccio non sembra avere rivali che possano insidiarlo politicamente nel suo campo. Almeno per ora, dopo non si sa. Dunque è questo il momento in cui può costruire la sua leadership per Palazzo Chigi, che si regge su un’idea di governo diametralmente opposta a quella dei Cinque Stelle, specie sui temi economici. È questa la dottrina che gli ha consentito di crescere nel consenso, di avere il sostegno del gruppo dirigente leghista e di un pezzo rilevante di opinione pubblica. E la Tav è la cartina di tornasole sui suoi reali intendimenti.
Per mesi Salvini ha spiegato al suo mondo e al mondo dell’impresa che i rapporti di forza nel governo gli imponevano di accettare anche parti del «contratto» non gradite: dal decreto dignità al reddito di cittadinanza, fino all’ipotesi di chiusura degli esercizi commerciali nei giorni festivi. Ma arriva sempre il momento delle scelte. E il momento è vicino.

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