19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Marco Imarisio

Effetto Draghi. Dopo anni passati a chiedere «valori comuni», la nuova vita dei partiti non è uno scandalo: se dura, finché dura. La parola chiave adesso è governabilità


Lo specchio. Ecco cosa sta succedendo. I partiti scrutano la propria immagine riflessa: non come Narciso, che si guardava nell’acqua e si piaceva tanto, ma con tutti i dubbi e le incognite di una stagione di passaggio. Quello che era, e si vedeva, già adesso non esiste più. Lo specchio è Mario Draghi. Febbraio del 2021 diventa una data che divide in due la storia politica degli ultimi tempi: ci sono i vecchi partiti prima dell’incarico e ci saranno i partiti riveduti e corretti del nuovo corso. La parola chiave è governabilità: per i prossimi mesi e come rincorsa per i prossimi anni. La stazione è quella che verrà, ma il treno passa oggi.
I Cinque Stelle già transitati dal vaffa all’Europa, da Salvini al Pd, sono a un passo dall’ex presidente della Bce. Nel rifiuto a caldo parlava la pancia, poi è arrivata la politica. Quella che aveva scelto Bruxelles e battezzato il secondo Conte. Beppe Grillo, il fondatore, si è schierato per il via libera. E Luigi Di Maio non sa più come dirlo, «saremo decisivi come prima», anche perché ha spiegato più volte che il Movimento è «il baricentro del Paese» e garantirà «la tenuta del sistema». Ma la genetica è la genetica. Per cui ci sarà l’ultimo (simbolico e paradossale) omaggio alle radici: il voto su Rousseau di domani e dopo per decidere il sostegno a Draghi. Il «no» riporterebbe i Cinque Stelle indietro di anni, giusto o sbagliato che sia, il «sì» segnerebbe il passaggio definitivo (definitivo come possibile in Italia) a partito di governo.
Qualcuno, però, ha fatto un salto ancora più in alto. Non tanto la Lega, che guida già Regioni e Comuni, ma proprio Matteo Salvini. Dritto e deciso. «Niente veti, il cuore oltre l’ostacolo, accogliamo l’appello di Mattarella». Chi saranno mai Orbán, Trump e gli anti-euro? Il Capitano ha difeso Draghi dai sovranisti tedeschi di Afd e ha rivisto anche la linea sui migranti, che gli aveva portato un diluvio di consensi ma aveva spaccato l’Italia. «Proporremo l’adozione della legislazione europea. A noi va bene che il tema sia trattato come in Francia e Germania, con le stesse regole. Coinvolgendo la Ue». La svolta è compiuta, anche la corsa all’ironia è partita. La battuta più rilanciata prevede altri due giri di consultazioni e poi Salvini che se ne uscirà con «prima gli immigrati».
Ma a parte il sarcasmo, a parte la rapidità dello scatto, la questione politica è evidente. Con Silvio Berlusconi così vicino a Draghi e Giorgia Meloni così lontana, Salvini si prende adesso o mai più il centro del centrodestra, la leadership della maggioranza che verrà (se verrà) dopo il voto. Magari gioca un ruolo anche l’astinenza da potere, un anno e mezzo dopo: vedremo. Che la guerra a Bruxelles e ai Paesi amici fosse insensata e controproducente si sapeva da sempre: ma l’epoca della pandemia l’ha fatto capire a tutti o quasi a tutti. Non esiste un’Italia fuori dall’Europa o contro l’Europa: l’arrivo di Draghi fa rivivere quel filo che dalla visione di Spinelli alla tenacia di De Gasperi ci ha sospinto nel gruppo degli ideatori e dei fondatori. Che ci siano «convertiti» della prima o ultima ora non è una tragedia. Al contrario. Se vogliamo, conferma la bontà della causa.
E siamo al punto. Dopo anni passati a chiedere «valori comuni», «confronto e non scontro», «accordo sulle regole di fondo», la nuova vita dei partiti populisti e sovranisti (se dura, finché dura) non è uno scandalo. «La Grecia, conquistata, conquistò il selvaggio vincitore», scriveva Orazio: pareva che avessero vinto i Romani, con le armi, ma in realtà vinsero i Greci, con le arti e la cultura. Questione di flessibilità. Sono più di duemila anni che chi passa da Roma afferra il vento e aggiusta le vele.
È l’effetto Draghi che fa cadere lo spread, d’accordo, ma ancor più costringe i professionisti della protesta a percorrere l’ultimo miglio. A mettersi nell’ottica del governo possibile. A riscoprire un clima diverso e addirittura civile. Il premier incaricato non è «santo subito» ed è soltanto all’inizio di un lungo percorso, ma la rivoluzione all’interno dei partiti appare un fatto acquisito. Così come l’insistenza sul lavoro e sulla scuola, nei primi colloqui, sembra già un cambio di passo. Giovedì il Duomo di Milano apre di nuovo ai turisti, si capisce che l’Italia tutta vuole ricominciare a vivere. Sta aspettando.
Potevano farcela da soli, i partiti del populismo che fu: ma ci provavano piano piano. Serviva una scossa, un leader esterno e riconosciuto, uno specchio per guardarsi e quindi cambiare in fretta. In un monologo strepitoso, anno 1995, Giorgio Gaber esordisce con la frase «secondo me quella sedia lì va spostata». Sembra facile, ma diventa un tormentone, chi può toccarla e perché, con quali forze, occhio ai sondaggi, attenti alla Costituzione, magari ci vorrà un referendum, però «non si troveranno mai 500 mila firme per spostare una sedia». E allora, signore e signori, «non resta che affidarsi a una figura autorevole e competente, forse un tecnico». In effetti.

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