I contestatori sono sempre più aggressivi: la legge sull’aborto c’è e il binomio aborto-libertà delle donne non è negoziabile
La nuova parola d’ordine è: attenzione. Attenzione agli integralisti anti-aborto. Ai signori e alle signore — per intenderci — fieri nemici della 194 e ideatori di una proposta di legge presentata quattro mesi fa per obbligare le donne che vogliono interrompere la gravidanza ad ascoltare il battito del feto.
Vietato sottovalutarli. La loro palla di neve ha cominciato a ruzzolare giù, lungo la montagna dei diritti, e forse (è un invito a chiunque abbia a cuore l’argomento) non è il caso di restare fermi a guardarla mentre diventa valanga. Sabato erano in migliaia in piazza a manifestare con i ProVita&Famiglia, a Roma, contro la legge 194. Loro dicono 30 mila, la questura dice 5 mila, ma poco importa il numero esatto. Quel che importa è la capacità di contare e di incidere (si chiama potere), e non c’è dubbio che mai come in questo momento storico la politica sia sintonizzata sulla loro voce.
Quindi attenzione, appunto, a non dare nulla per scontato e per acquisito, perché non esistono fortezze inattaccabili, nemmeno quando sono protette dalla legge e nemmeno se quella legge ha ormai 46 anni. Prima che qualcuno sollevi facili obiezioni diciamolo: sì, certo, i ProVita hanno il diritto alla piazza e agli striscioni. E ci mancherebbe… Ma chiusa la manifestazione e ascoltati i loro slogan si potrà pur replicare qualcosa. O no?
Simone Pillon, per dire. Il cofondatore del Family Day e già senatore della Lega, ha definito «iniqua» la 194. Perciò: «basta, fermiamola, costruiamo le condizioni sociali e politiche perché questa legge sia finalmente cancellata». La sua compagna di slogan, Francesca Romana Poleggi, del direttivo ProVita, parla di «disobbedienza civile» contro la 194. Tutto mentre nell’aria si diffonde il rumore di un cuore che batte (un feto, giurano i deejay dell’iniziativa). La replica a tutto questo è una sola: la legge sull’aborto c’è e il binomio aborto-libertà delle donne non è negoziabile. Osiamo sperare che non basteranno un milione di piazze per convincere la maggioranza delle donne a spogliarsi del diritto alla salute e all’autodeterminazione. Non basteranno, come non sono bastati finora, i tentativi di minare quel diritto con il suono di un cuore che batte, con l’obbligo a tre giorni di ospedale per chi sceglie l’ivg, con la presenza di antiabortisti nei consultori o con l’esagerato numero di medici obiettori di coscienza.