20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Stefano Passigli

Il dibattito si è attardato su varie ipotesi di riforma costituzionale, laddove il vero problema era la natura frammentata e sempre meno strutturata del sistema partitico


In un quarto di secolo, tra il 1992 e il 2018, in Italia si è votato per il Parlamento otto volte, con quattro leggi elettorali diverse dopo che due erano state dichiarate incostituzionali, e due disegni di radicale riforma costituzionale della nostra forma di governo erano stati sonoramente bocciati dai cittadini nel 2006 e nel 2016.
Nello stesso arco di tempo l’Italia ha avuto 17 governi con 11 diversi primi ministri. In Germania invece si sono succeduti solo 3 cancellieri (Kohl, Schröder e Merkel), nel Regno Unito 5 premier (Major, Blair, Gordon Brown, Cameron e May), e in Spagna 5 primi ministri, ivi compresa la recente elezione di Sánchez (González, Aznar, Zapatero, Rajoy). Ovviamente, nei sistemi presidenziali e semi-presidenziali la stabilità è per definizione maggiore. Negli Stati Uniti negli ultimi venticinque anni si sono alternati 4 presidenti (Clinton, George W. Bush, Obama, e Trump), e in Francia 5 (Mitterrand, Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron). In tale periodo in nessuno di questi Paesi la costituzione e la legge elettorale hanno conosciuto significativi mutamenti, salvo che per la durata del mandato presidenziale francese uniformata a quella dell’Assemblea Nazionale per evitare il rischio della «coabitazione». Anche se alla stabilità dei governi non corrisponde necessariamente l’efficacia delle loro politiche, è forse sulla base di questi dati, e dunque del solo requisito della continuità, che in Italia hanno preso avvio i tentativi di riformare profondamente le istituzioni, dalle prime commissioni bicamerali sino alle recenti proposte di integrale riforma della seconda parte della Costituzione e del sistema elettorale. Malgrado l’insuccesso dei vari tentativi di riforma, e il discutibile risultato delle modifiche apportate con la riforma del Titolo V, il tema delle riforme è stato insomma il leitmotiv dell’intero dibattito politico degli ultimi decenni.
Non sempre, tuttavia, si è sottolineato a sufficienza che tutti i tentativi di rendere le nostre istituzioni più adeguate hanno solo privilegiato da un lato il rafforzamento del governo nei confronti del Parlamento, e del premier nei confronti della sua stessa maggioranza, attraverso le varie proposte di riforma costituzionale; e dall’altro la ricerca di una maggiore stabilità delle coalizioni di governo attraverso ripetute modifiche della legge elettorale. Non si è riconosciuto che attraverso il combinato disposto di decreti legge, maxi-emendamenti e voti di fiducia i nostri governi erano potenzialmente tra i più forti in Europa, e che la loro debolezza discendeva sostanzialmente dalla eterogeneità e mancanza di coesione delle coalizioni determinata da leggi elettorali errate. E a proposito di queste ultime, non si è colto che il problema era appunto non la stabilità dei governi, ma la omogeneità delle coalizioni di maggioranza. Così si è attribuito alla quota proporzionale del Mattarellum la frammentazione del sistema partitico, laddove questa discendeva dal maggioritario uninominale a turno unico: se un collegio può essere vinto anche per un solo voto i partiti minori avranno interesse a mantenersi autonomi ottenendo seggi in cambio della loro capacità di apportare i voti decisivi alla vittoria. Analogamente dicasi per il premio di maggioranza, previsto – con modalità diverse – da Porcellum, Italicum e Rosatellum. Non si è colto che il vero problema consisteva nel progressivo scadimento della classe politica, cui hanno contribuito le ultime leggi elettorali, e in specie l’adozione con il Porcellum delle liste bloccate, confermate dall’Italicum, sostanzialmente mantenute dal Rosatellum e non sufficientemente contrastate dalla Corte costituzionale.
La conclusione di questo breve excursus è sconsolante: il dibattito politico si è attardato su varie ipotesi di riforma costituzionale, laddove il vero problema era la natura frammentata e sempre meno strutturata del sistema partitico cui si sarebbe dovuto portare risposta con una adeguata riforma elettorale. Il valzer di proposte che dopo il Mattarellum si sono susseguite hanno fallito lo scopo perché tutte pensate non per sanare i difetti del sistema, la frammentazione e il trasformismo, ma per dare ai leader il pieno controllo dei propri gruppi parlamentari e partiti attraverso il perverso meccanismo delle liste bloccate. Fino a che queste continueranno a espropriare i cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti il nostro sistema non migliorerà e l’antipolitica – antico male endemico della storia italiana – continuerà ad alimentare le fortune di un populismo inadeguato alle esigenze di uno Stato moderno.

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